Sembra un bollettino di guerra. Ischia, Capri e Procida senza cancellieri. La giustizia è sospesa. A Ischia soffre l’ufficio del giudice di pace, dove da tre anni e mezzo non è presente neppure un cancelliere in pianta stabile e ogni tanto un applicato firma sporadicamente qualche provvedimento per consentirne la pubblicazione: ciò ha comportato un gravissimo arretrato di oltre 2mila tra sentenze e decreti ingiuntivi da pubblicare, già emessi da oltre un anno.

Anche a Capri la situazione è drammatica: oltre all’assenza del cancelliere in pianta stabile, è deceduto l’unico dipendente in servizio all’ufficio del giudice di pace e per questo motivo il presidente del Tribunale ha deciso il trasferimento dello stesso ufficio a Napoli fino alla fine di febbraio, con tutte le difficoltà di spostamento che dovranno affrontare tanto gli avvocati capresi quanto i cittadini isolani in questo grave periodo di emergenza sanitaria.

E a Procida si vive in uno stato di attesa e di incertezza a causa della mancanza del cancelliere dallo scorso settembre che non consente la pubblicazione dei provvedimenti.
Senza dimenticare che a Pozzuoli e nell’area flegrea continuano i disagi per i cittadini determinati dall’assenza di un presidio giudiziario di prossimità così come a Portici, che si è vista sopprimere il suo presidio con conseguente trasferimento delle cause a Napoli e a Barra.

Infine, all’ufficio del giudice di pace di Napoli mancano, oltre a funzionari e cancellieri, proprio i giudici, anche perché a dieci di questi non è stato rinnovato l’accordo scaduto lo scorso 31 dicembre. E l’inadeguatezza di questi uffici, angusti e poco sicuri, ha portato a un decreto del presidente del Tribunale di Napoli in base al quale, fino al 31 marzo prossimo, i giudici di pace di Barra e di Ischia non potranno trattare più di dieci cause per ciascuna udienza.

Questa l’attuale drammatica situazione della giustizia nel territorio partenopeo. Per la politica la giustizia di pace, che è la Giustizia di prossimità e che tutela i diritti dei cittadini più deboli, è di serie B. Il Ministero, nonostante le numerose sollecitazioni e proteste dell’avvocatura e in particolare dell’Organismo congressuale forense (cioè del suo Organismo politico nazionale), continua a non investire nella giustizi, soprattutto in quella di pace. La situazione era già critica prima della pandemia ma adesso, dopo mesi di lockdown e di restrizioni, gli arretrati si sono moltiplicati e riprendere l’attività sembra quasi una missione impossible.

Oltre alla carenza di risorse umane e all’assenza di una valida piattaforma informatica, nodi centrali per la riorganizzazione degli uffici giudiziari sono la digitalizzazione, da un lato, e l’edilizia giudiziaria, dall’altro. Ed ecco che diventano essenziali il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e il connesso Recovery Plan che l’avvocatura ha chiesto a gran voce di utilizzare per salvare la giustizia. Il Piano prevede uno stanziamento di due miliardi e 300 milioni di euro da destinare alle assunzioni di risorse umane, oltre a 450 milioni per la realizzazione di nuove cittadelle giudiziarie e per la riqualificazione “green” e antisismica degli edifici esistenti.

Questa è l’ultima spiaggia per la giustizia, anche se c’è fondato motivo di ritenere che quelle risorse non saranno sufficienti per consentire un’accelerazione dei tempi per riassorbire il contenzioso arretrato e consentire al sistema giustizia di essere finalmente il motore della ripartenza del Paese. Non resta che insistere per un piano straordinario per la giustizia e un’immediata ripresa di un’interlocuzione seria e paritaria con i capi degli uffici in vista di un’organizzazione che garantisca effettivamente la tutela dei diritti di tutti i cittadini.