Il governo Meloni, tramite il ministro Roberto Calderoli, ha rilanciato l’autonomia differenziata, un tema caro alla Lega e a diverse Regioni del nord. La firma delle pre-intese con Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria segna una tappa importante in un processo che promette di trasformare il volto dell’Italia, assegnando alle regioni maggiori competenze in ambiti cruciali come sanità, protezione civile, professioni e previdenza complementare. Ma la Corte costituzionale ha posto una serie di paletti, chiedendo che, prima di trasferire funzioni relative a diritti civili e sociali, sia stabilita la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP).

Le pre-intese: un passo verso la definizione o una forzatura costituzionale?

Le pre-intese, pur non vincolanti, tracciano la cornice per le future trattative tra governo e Regioni. L’accordo si concentra su quattro aree: sanità, protezione civile, regolamentazione delle professioni non ordinistiche e previdenza complementare. In ciascuna di queste aree, le Regioni firmatarie guadagnerebbero maggiore autonomia gestionale, a patto di rispettare i vincoli economici generali. Il nodo cruciale, tuttavia, risiede nel fatto che per le funzioni legate ai diritti sociali (come la sanità), la Corte ha stabilito che non si possano trasferire senza aver prima definito i LEP.

Le ombre sulle motivazioni delle richieste regionali

Una delle principali critiche sollevate riguarda la mancanza di motivazioni adeguate alla richiesta di maggiore autonomia. Le pre-intese firmate sono quasi identiche per tutte le Regioni coinvolte, e non forniscono dettagli sufficienti per comprendere come ogni singola realtà territoriale possa trarre benefici specifici da queste riforme. Questo difetto di motivazione solleva dubbi sulla reale capacità delle Regioni di gestire autonomamente alcune funzioni cruciali, senza compromettere l’equità e l’accesso universale ai servizi. Il rischio è che le singole Regioni intraprendano percorsi che non rispondono alle necessità dei cittadini, ma a logiche politiche di convenienza.

I pericoli economici e la sostenibilità del modello

La Corte costituzionale ha ribadito l’importanza di una valutazione preliminare approfondita, che non solo consideri le specificità delle singole Regioni, ma anche l’effetto complessivo sul bilancio nazionale e sul sistema di welfare. L’autonomia in materia sanitaria, per esempio, potrebbe comportare un disallineamento tra le risorse disponibili in Regioni più ricche e quelle in difficoltà economica. L’impatto economico va oltre il semplice trasferimento di funzioni: occorre considerare la sostenibilità a lungo termine di un sistema che rischia di creare disuguaglianze ancora più marcate tra Regioni in grado di sostenere un sistema autonomo e quelle che invece potrebbero trovarsi a corto di risorse.

Un percorso ancora incerto: la lezione della Corte non è stata ascoltata?

Nonostante le difficoltà tecniche e giuridiche sollevate dalla Corte, le trattative sull’autonomia differenziata vanno avanti. La firma delle pre-intese è stata presentata come un modo per dare maggiore efficienza e responsabilità alle Regioni. Tuttavia, la mancanza di chiarezza sui LEP e l’assenza di un’analisi dettagliata dell’impatto economico sollevano gravi preoccupazioni. Se il governo intende realmente riformare il Paese in un’ottica moderna e inclusiva, dovrebbe considerare con maggiore serietà i rischi legati a un’autonomia senza regole chiare, senza un’equilibrata distribuzione delle risorse e senza la necessaria trasparenza.