Simbolo di libertà, sole, mare ma soprattutto vacanza l’infradito Havaianas è diventato l’infradito per antonomasia. A Napoli nasce un suo cugino “Awaiass”, con sottotitolo “Made in Naples”, un nome che fa eco al modo di dire dialettale “‘a vajass”, o meglio “la serva”, che poi è diventato sinonimo di donna di bassa condizione civile, sguaiata e volgare, “sbraitante e rissaiola”. Come nome da dare a un brand che produce infradito è geniale, ma l’Havaianas, l’originale infradito nato 57 anni fa in Brasile,  non l’ha presa bene e potrebbe iniziare una guerra legale.

L’assonanza del nome e la somiglianza dei prototipi di modelli non ancora commercializzati ha indotto la Alpagates SA (azienda del gruppo brasiliano J&F che detiene il 14 per cento delle azioni del marchio, mentre l’altro 86 due anni fa è stato venduto per un miliardo d’euro a una cordata multinazionale) a inviare una diffida a Sergio Pisani che qualche settimana fa ha registrato il brevetto, chiedendo il blocco della produzione. Ma Pisani promette battaglia, rivendicando il diritto di tenere un nome che deriva etimologicamente da un termine antico della lingua napoletana.

“Volevo omaggiare la parola ‘vaiassa’, che in napoletano vuol dire ‘serva’ e realizzare qualcosa che la ricordasse – ha spiegato il professionista, intervenendo telefonicamente a ‘La Radiazza’, trasmissione in onda su Radio Marte – Così ho pensato agli infradito, una calzatura tipica degli strati sociali più bassi e ho registrato il marchio, aggiungendo la ‘a’ all’inizio, che sarebbe il nostro articolo, e la ‘s’ finale, mutuando il plurale inglese, visto che le vaiasse sono due. Lì mi sono accorto dell’assonanza con le Havaianas e allora è stata sostituita la ‘v’ con la ‘w’ per differenziarsi dal brand brasiliano. Inoltre è stata aggiunta la scritta ‘made in Naples’ proprio per evitare che si potesse generare confusione”.

Nonostante tutto la multinazionale ha intimato di bloccare tutto: “Siamo disposti a cambiare solo lo stile del carattere del marchio, che effettivamente è uguale a quello usato dai brasiliani, ma il nome ce lo teniamo stretto – afferma ancora Pisani, famoso avvocato napoletano, legale, tra gli altri, di Diego Armando Maradona – Come ho scritto nella risposta alla diffida, il termine ‘vaiassa’ compare già in un poema, ‘La vajasseide’, scritto nel 1600 da Giulio Cesare Cortese, quindi è del tutto legittimo il suo uso”.

Difficilmente l’azienda brasiliana si accontenterà delle motivazioni addotte da Pisani, perciò è molto probabile che si assisterà a una lunga battaglia combattuta a colpi di carte bollate e sentenze. Pisani potrebbe spuntarla come è successo già ad altri due imprenditori napoletani,  Vincenzo e Giacomo Barbato, che hanno sfidato la Apple e vinto la causa. I due inventarono il marchio “Steve Jobs” accorgendosi che il nome del fondatore del colosso non era mai stato registrato. La Apple contestò loro anche il logo della nuova azienda. Ma loro seppero rispondere a suon di faldoni e avvocati che il logo era completamente diverso da quello di Apple perché si basa su una “J”, una lettera, non su una mela morsicata con una foglia. “Non è altro che una lettera alla quale manca un pezzo e in cima c’è un’ellisse, una figura geometrica, non una foglia”, dissero i fratelli Barbato.

E pensare che quando nel 1962 l’azienda di Sâo Paulo s’inventò le Havaianas, s’ispirò allo Zori, una tradizionale calzatura giapponese, mentre il nome è la traduzione in portoghese di “hawaiani”. Ma allora nessuno protestò per quelle due “citazioni” e in quasi 60 anni il business è cresciuto prepotentemente, tanto che si stima che ogni anno nel mondo se ne vendano 200 milioni di paia. Un giro d’affari enorme che difficilmente potrebbe essere scalfito dall’entrata in commercio della versione ironica in chiave napoletana.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.