Se c’era un solo argomento sbagliato con cui mettere in piedi un’opposizione degna di questo nome, ecco, proprio quello è stato subito utilizzato un minuto dopo l’insediamento del governo Meloni, il primo della storia con alla guida una donna che ha osato scegliere di farsi chiamare “il Presidente”, al maschile. Il dibattito fondato sulla declinazione delle desinenze e sugli articoli determinativi, si infiamma sul lessico, diventa un po’ esagerato, fino a diventare quasi grottesco.

Mentre Laura Boldrini ‘incalza’ il presidente Meloni (sì, “il presidente”) facendole notare nientemeno che le sorelle d’Italia non sono menzionate nel nome del suo partito, non si coglie un fatto dirimente: la forma, a volte, non è sostanza e i diritti sacrosanti delle donne non si difendono ne’ con una donna alla presidenza del Consiglio, né imbastendo una guerriglia linguistica che rischia di diventare tafazziana. E’ una battaglia che si combatte con lo strumento della politica (e non, ad esempio, inventando le ‘quote rosa’, neanche troppo rispettate). Mentre il politically correct prende il sopravvento, pochi si battono con la stessa veemenza per la tragedia sociale cui il nostro paese va incontro: 15 milioni di italiani sono a rischio povertà ed esclusione sociale (fonte Istat) e 5 milioni e mezzo di persone si mettono in fila nei centri Caritas per ottenere cibo utile alla sopravvivenza.

Se l’opposizione, di sinistra, non parte dalla difesa dei più deboli, degli esclusi, degli invisibili, allora saranno anni duri quelli che abbiamo davanti, con un Paese guidato da un governo che, ad esempio, vuole alzare il tetto dell’utilizzo dei contanti a 10 mila euro, anche perché,  per Meloni un tetto troppo basso avrebbe anche l’effetto di «penalizzare i più poveri», come se le attività da migliaia di euro fossero appannaggio degli indigenti. Saranno anni duri, senza una sinistra che non fa la sinistra.