Il caso
“Burattini, venduti e servi”: perché in ogni protesta i giornalisti vengono insultati?
Ormai quasi ogni giorno le strade e le piazze delle città italiane si riempiono di proteste e cortei di ogni tipo. Tra i vari ci sono semplici cittadini, le categorie che l’ultimo dpcm ha messo in crisi, le mamme che si lamentano contro la chiusura delle scuole ecc. Immancabili in ogni occasione anche gruppi di negazionisti senza mascherina che inneggiano all’amore e invitano all’abbraccio. In questa pletora di persone unite per diversi motivi dalla protesta volano spesso anche insulti più o meno violenti contro i media.
Spesso con spintoni e aggressioni verbali invitano i giornalisti a togliere la mascherina accusandoli di non dire la verità, di “essere asserviti”. Una scena che si è ripetuta anche durante il provocatorio “corteo Funebre” che si è svolto a Napoli la sera del 2 novembre. Il gruppo di manifestanti ha, infatti, inscenato il funerale dell’economia campana con tanto di carro funebre, necrologi e crisantemi. Ma durante il percorso i manifestanti hanno iniziato a insultare violentemente anche i giornalisti che erano lì per dare voce alla protesta e raccontare le istanze dei manifestanti.
“I giornalisti ci devono sempre buttare a terra, sempre. Invece di venire a occuparsi dei nostri diritti, delle nostre difficoltà da lavoratori a partita iva, che dobbiamo chiudere le nostre attività, ci accusano solo di assembramenti”. Ha detto polemicamente una ragazza alludendo al fatto che nel racconto dei fatti non sfugge il problema degli assembramenti che queste manifestazioni comportano. Un fatto anche questo innegabile e ben visibile dalle immagini. Assembramenti a cui i giornalisti, loro malgrado si espongono, pur di dar voce alle proteste e raccontare a tutti cosa accade. Comprese quelle che sono le storture che la paura e la rabbia per la pandemia stanno generando senza freno.
Gli insulti continui ai giornalisti sono una parte di questi. “Voi giornalisti dovete dire le cose giuste – continua una delle manifestanti – non quelle che convengono a voi che vi mandano a dire di dire”. Poi la manifestante prosegue asserendo di essere in primis giornalista “ma me ne sono andata dal sistema – ha continuato – paragonando l’informazione pubblica alla camorra – e quindi non vengo a fare la burattina qua in mezzo io mi sono rifiutata”. Dunque la critica viene da una “giornalista” ed è curioso anche che la manifestazione in questione fosse stata organizzata proprio da un giornalista.
Un pensiero che per chi ha seguito con passione e dedizione varie proteste si è sentito ripetere spesso. Il 2 novembre la scena sotto la Regione Campania è stata ancora più violenta, magari non fisicamente, come durante gli scontri di quel primo venerdì di coprifuoco, ma verbalmente sicuramente si. Nelle immagini si vede il gruppo dei giornalisti impugnare telecamere e microfoni e dal lato opposto alcuni manifestanti gli gridano in faccia “giornalaio!”, “venduti!” e poi in coro “servo, servo, servo!”.
Poi la scena tocca picchi di follia: un manifestante con la maschera di De Luca insulta uno dei cameramen accusandolo di non indossare la mascherina. Il cameraman, che invece indossa tanto di mascherina a norma, resta impassibile mentre l’uomo continua a gridargli contro: “Ti stanno filmando tutti, poi ti sputtaneranno… poi ci farai sapere se siamo noi i negazionisti o tu il prezzolato”. E parte l’applauso della folla intorno. Una scena che fa male a chi si affatica a raccontare anche questo, spesso anche mal pagato o nulla o affatto tutelato.
“Giornalisti terroristi alla gogna vergogna”, recita invece un altro cartello. A portarlo fieramente al collo una donna che ne spiega i motivi: “In televisione fanno vedere cose assurde – ha spiegato – pochi giorni fa hanno fatto vedere due ospedali di due paesi differenti, poi due barelle che portavano i cuscini, uno vestito da marziano con la tuta anticovid ma che indossava gli infradito, un altro che portava un cadavere con tre dita. Quindi adesso diciamo basta”. Peccato che tutte le assurdità elencate dalla signora siano state promosse e divulgate sui social, tanto da diventare virali. Forse dei giornalisti non si può poi così tanto fare a meno.
LA NOTA DEL PRESIDENTE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI OTTAVIO LUCARELLI – Ringrazio il Riformista per questa puntuale denuncia ed esprimo solidarietà e vicinanza al collega minacciato e a tutti i giornalisti sotto tiro. In questa fase più che mai siamo in prima in linea vicini ai contagiati, ai medici, agli infermieri. E siamo in strada a raccontare il Covid. Eppure l’ignoranza dilagante continua a prenderci di mira. Per questo insisto nel chiedere a Prefetto e Questore maggiore protezione per chi ha il delicato compito di informare l’opinione pubblica.
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