Errori giudiziari ma anche "Far parti uguali tra diseguali"
Carcere, assoluzione e nuova imputazione, la storia dell’eroe perseguitato dai giudici perché vive accanto ai “ribelli”
«La Legge è il Potere dei senza potere», si diceva una volta. Sempre più spesso da qualche tempo l’ignavia del giudicante, e quindi di chi rappresenta la legge nella sua attuazione, fa gravi danni non solo al singolo ma alla speranza dei tanti poveri che potrebbero intraprendere eroicamente la dritta via. L’ignavia del Giudicante (ovviamente non tutti, ma purtroppo neanche pochissimi) può danneggiare gravemente anche il faticoso, prezioso e spesso straordinario lavoro del volontariato che tanto si spende per supplire alle carenze ataviche dello Stato nei quartieri più degradati.
Non si tratta solo di errori giudiziari, dunque, ma degli effetti nefasti che tale ignavia può produrre in danno della collettività più indifesa ed innocente. Alla vigilia di riforme della Giustizia, divenute improvvisamente necessarie ed inderogabili solo per incassare denari dalla Comunità Europea, ecco un esempio di ignavia tratto da un processo come tanti, neanche raccontato dai media. Nei quartieri più poveri e degradati, grazie all’azione incessante di parrocchie e volontari, vivono piccoli eroi contemporanei accanto a tantissimi “ribelli”. Eroi che crescono fianco a fianco di furfanti e disperati, spacciatori e potenziali killer in quartieri abbandonati dallo Stato come in una riserva di espunti predestinati. Sovente i nostri pochissimi eroi ed i tantissimi “ribelli” abitano negli stessi palazzoni che affacciano direttamente sui reclusori, presagio di una predestinazione che disintegra senza ipocrisia la chimera del libero arbitrio. In tali contesti delle periferie metropolitane più degradate, dove fino a due decenni fa perfino la Chiesa era assente, costoro, come rare stelle in un cielo plumbeo, riescono eroicamente a prendere le distanze da tutto ciò che è già loro “addosso” fin dalla nascita riuscendo a distinguersi talvolta anche nella gestualità e nell’estetica, pur costretti a convivere con tutto ciò che è la diversa “normalità” dell’intero quartiere.
Questi piccoli eroi riescono miracolosamente a trovare perfino un lavoro stabile con regolare contratto, mediando faticosamente con tutto il resto attorno che inizia a guardarli con sussiego se non addirittura con sospetto. Una bella mattina, proprio il giorno dopo che in tv si discute delle grandi trasformazioni della criminalità organizzata mimetizzatasi ormai nei trust e nei capitali internazionali, un blitz di arresti per camorra e piccolo spaccio di stupefacenti deflagra sul quartiere, coinvolgendo anche il nostro piccolo eroe ed azzerando così ogni segno di diversità attraverso una sbrigativa omologazione giudiziaria contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare che lo deporta dal balcone di casa direttamente all’interno del reclusorio sottostante, avverando così ogni sinistra profezia. La prassi attuale è che – di regola e salvo lodevoli eccezioni – nelle aule dei tribunali penali, la tragica povertà di lingua e di contesti degradati, invece di provocare indulgenza e commozione, sovente amplifica crudelmente l’entità di pene da infliggere a corpi incatenati senza valutarne la storia ed il tasso di libero arbitrio che ne ha determinato le condotte. Ed è sotto l’egida de “La legge è uguale per tutti” che ogni giorno si compie l’ingiustizia più grande secondo Don Milani: «Far parti uguali tra diseguali».
Se questa è la tragica tendenza culturale che avanza nei tribunali, ancor più difficile sarà in tale clima operare le giuste distinzioni riuscendo ad individuare immediatamente l’innocenza del nostro piccolo eroe. Ed invero, soltanto dopo due anni di terribile reclusione, il nostro eroe viene assolto. Ometto ogni considerazione sull’essere imprigionati da innocenti, perché non è questo il senso di ciò che intendo evidenziare. Il nostro piccolo eroe cambia abitazione, si trasferisce nel quartiere accanto, allontanandosi dalle case dei coimputati tra cui vi erano inevitabilmente anche parenti e conoscenti, e riprende subito a lavorare. Dopo un anno, un nuovo blitz, fortunatamente meno cruento perché non vi sono arresti: associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione di marchi di borse di gran moda, questa volta fortunatamente senza aggravanti camorristiche. Il nostro eroe immediatamente si presenta dinanzi all’autorità giudiziaria, dichiarando la sua estraneità ai fatti e fornendo tutte le spiegazioni del caso.
Spiegazioni che dovrebbero risultare ancor più convincenti considerato che, già nel corso del precedente processo ed a seguito di indagini lunghe ed invasive, era emersa la sua assoluta onestà ed estraneità da ambienti criminali. Nel corso dell’indagine preliminare, questa volta dinanzi ad un giudice che dovrebbe essere imparziale perché terzo rispetto all’indagine del pm, insiste nel difendersi rendendo ulteriori dichiarazioni ed esibendo orgogliosamente, come reliquie – ma evidentemente non percepite come tali – le numerose buste paga e certificazioni lavorative che si susseguono nel tempo senza soluzione di continuità. Al giudice si era chiesta con insistenza ancora più attenzione, pur sempre dovuta, giacché la posizione dell’eroe era sacra, perché sacra è la busta paga del suo lavoro in quei contesti di rovine. Contro di lui tecnicamente da un punto di vista indiziario, c’è lo zero assoluto, e si può affermare con certezza assoluta che il ragazzo – se rinviato a giudizio – sarà sicuramente assolto per non aver commesso il fatto. Tra 6 o 7 anni, ovviamente. Ma l’ignavia trionfa: il giudice rinvia tutti a giudizio, senza alcuna distinzione.
In tal caso, non è in evidenza la pena dell’inutilissimo processo. È in evidenza invece uno stuolo di adolescenti borderline che, anche da tale vicenda fallimentare del nostro eroe, capiranno che non c’è speranza, che è tutto uguale, che il capitombolo dal balcone al carcere è ineluttabile. Ed inizieranno ad armarsi. Ma quand’è che in primis la politica e le istituzioni, e poi anche le tante meritorie associazioni di volontariato si interrogheranno più a fondo sui guasti provocati anche dall’ignavia di alcuni giudicanti?
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