Il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini (Pd) ha indossato questa settimana la toga da pm ed ha bocciato la proposta di riforma di Marta Cartabia. Il voto sul parere sulla riforma era finito 13 a 13 in Plenum. Ma valendo doppio il voto del vicepresidente, Ermini ha così affossato la tanto attesa riforma della Guardasigilli. “Ognuno ha le proprie posizioni, non entro nel merito ma il Csm è un organo di rilievo costituzionale, non si può sottrarre al principio di leale collaborazione con gli altri organi dello Stato, come il Parlamento. Ognuno ha le sue ragioni, io ho le mie ragioni per votare perché non ci possiamo sottrarre alle responsabilità che le istituzioni ci danno, io alle responsabilità non mi sottraggo”, ha detto Ermini per giustificarsi di aver votato con i pm, da sempre contrari alla riforma Cartabia, e non con i laici.

“Non riesco a trovare precedenti di una contrapposizione frontale così accentuata, in materie essenziali, nel Csm”, è stato il commento del professore e avvocato Mario Serio, ex componente di Palazzo dei Marescialli. Ad essere bocciata è stata soprattutto la nuova disciplina in caso di violazioni sulla presunzione di innocenza che prevede limiti alle esternazioni dei pm. Nel frattempo la ministra ha deciso di guadagnare tempo ed ha spostato all’11 aprile la presentazione del suo testo in Aula. Considerati i tempi strettissimi è probabile che venga messa la fiducia. Uno smacco, un altro, per il premier Mario Draghi, che aveva detto di volere il dibattito in Parlamento su temi così delicati. Sembra proprio non trovare pace la riforma della magistratura, incardinata dal 2019 in Commissione giustizia a Montecitorio, relatori Water Verini (Pd) ed Eugenio Saitta (M5s).

Fra i primi provvedimenti della Guardasigilli vi era stata anche l’istituzione di una Commissione, presieduta dal decano dei costituzionalisti, il professore romano Massimo Luciani, per elaborare un progetto complessivo di riforma del Csm. La commissione aveva consegnato la sua relazione il 31 maggio scorso, concentrandosi in particolare sulle modifiche al sistema elettorale. Archiviato il disegno Luciani, la ministra aveva dato incarico agli uffici legislativi di via Arenula di elaborare un documento che potesse essere votato da tutti. Senza, come si è visto, successo. La riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, la terza gamba del tavolo delle riforme in materia di giustizia, prevede, oltre alla riforma del sistema di elezione dei togati del Csm, modifiche alle valutazioni di professionalità dei magistrati, ai criteri per essere ottenere un incarico direttivo, al rapporto con l’avvocatura, al ruolo della Scuola superiore della magistratura. Eppure era stato l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (M5s) ad annunciare, all’indomani dello scoppio del Palamaragate, che la riforma era pronta e sarebbe stata approvata in pochi giorni. Da allora sono passati quasi tre anni e non è successo nulla. E tutto questo nonostante gli appelli del Capo dello Stato.