C’era forse da aspettarselo. I dati complessivi sulla mortalità stradale e sul numero delle persone ferite a causa di incidenti sono sconfortanti. Malgrado la possente stretta sanzionatoria messa in campo qualche anno or sono con la legge sul cosiddetto omicidio stradale e un nugolo di tagliole repressive, la situazione è cambiata poco e i risultati appaiono davvero deludenti. Chi si aspettava che il patibolo delle pene avrebbe indotto gli automobilisti a comportamenti virtuosi o, almeno, meno scellerati dovrebbe ora fare i conti con una situazione immutata se non peggiorata, posto che le statistiche, per essere attendibili, dovrebbero anche segnalare quante volte i pirati della strada sono scappati via senza prestare soccorso alle vittime e proprio per sfuggire alle dure pene previste dalla legge del 2016. Se ci fosse stato, come pare probabile, un aumento delle fughe sarebbe davvero inquietante e ciò offrirebbe la conferma di un percorso, se non errato, almeno incompleto. Due punti meritano una qualche considerazione. Occorre profondamente rimeditare il ruolo mediatico e politico che svolgono le associazioni delle vittime dei reati. Il loro è certo un compito vitale e insostituibile, ma il legislatore non può e non deve assecondare l’onda emotiva che inevitabilmente si accompagna al verificarsi di crimini terribili e insopportabili. La giusta solidarietà alle vittime dei reati, in generale, e verso i loro familiari non può obliquamente piegare le politiche criminali trasformando la pena dei delitti in una sorta di ristoro privato per un dolore incolmabile. Né la Costituzione né l’ordinamento prevedono nulla del genere. Lo Stato farebbe bene a dare piuttosto concretezza alle normative internazionali, e comunitarie in particolare, che impongono di indennizzare adeguatamente chi patisce il torto di un delitto. La legge 122 del 2016 è in proposito largamente inadeguata e nulla si muove su questo, decisivo fronte.

Non si può accettare che un legislatore, affannato dalle pressioni mediatiche e preoccupato dalla ricerca del consenso, offra alla disperazione delle vittime il rimedio della ghigliottina penale quale – praticamente – unica risposta alle condotte violente o scellerate. La pena non è un taglione a disposizione del risentimento e della (giusta) rabbia di quanti hanno sofferto per la consumazione di un illecito, ma è lo strumento con cui la società cerca un punto di equilibrio tra il fallimento delle politiche di prevenzione generale e la punizione del reo. Se i controlli su strada sono fiacchi, se la droga e l’alcol corrono a fiumi tra tutte le fasce d’età, se un terzo del parco macchine circola senza assicurazione, se gli smartphone alla guida dilagano, ogni durezza sanzionatoria vale poco; nell’era moderna le pene esemplari hanno esaurito da un pezzo la loro funzione deterrente. Lo si spieghi ai neogiacobini.

Alberto Cisterna

Autore