Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono rimasti soli nella ‘battaglia’ contro la giudice di Catania Iolanda Apostolico, il magistrato che non ha convalidato i trattenimenti di alcuni immigrati che erano stati eseguiti dalla Questura con il dl Cutro e che nell’estate del 2018 aveva partecipato ad una manifestazione di protesta contro il divieto di sbarco della nave Diciotti. Si è, infatti, ‘volatilizzato’ il soccorso che era atteso da parte del ministro della Giustizia Carlo Nordio e della nutrita pattuglia di laici presso il Consiglio superiore della magistratura.
Dopo giorni di campagna martellante da parte della premier e del suo vice nei confronti della magistrata siciliana, iniziata proprio con la pubblicazione del video che immortalava la toga protestare contro il cordone di polizia insieme al marito, attivista di Potere al Popolo, l’effetto è stato quello di una presa di distanza.

Il primo a mettere le mani avanti è stato Nordio che ha dichiarato di non voler fare alcuna attività ispettiva presso il tribunale di Catania, limitandosi ad una lettura degli articoli che erano apparsi sui giornali. “A seguito di quattro interrogazioni parlamentari, essendo doveroso rispondere, ho dato mandato alle articolazioni competenti del Ministero di acquisire articoli di stampa relativi alla giudice di Catania. Non si tratta di un accertamento ispettivo né tantomeno dell’avvio di un’azione disciplinare”, ha voluto puntualizzare il Guardasigilli. Ancora più diretto, invece, Enrico Aimi, ex senatore di Forza Italia e presidente della Commissione più importante del Csm, la prima, quella che si occupa delle incompatibilità delle toghe. “Cosi come il ministro non ha mai chiesto un accertamento ispettivo né ha mai avviato un’azione disciplinare, così il sottoscritto non ha mai richiesto il trasferimento d’ufficio della giudice”, ha affermato Aimi. “Non vorrei – ha aggiunto senza lasciare spiragli – che il fine ultimo, alimentando strumentalmente la polemica, fosse quello di alzare il livello dello scontro per scatenare una pericolosa ‘intifada’ tra potere esecutivo e ordine giudiziario”. “Le fughe in avanti di certe incontrollate notizie, alimentano, attraverso fantasiose affermazioni, un pericoloso scontro tra poteri dello Stato”, ha quindi aggiunti il laico del Csm.

Per uscire da questa situazione di imbarazzo è allora dovuto scendere in campo ieri direttamente Alfredo Mantovano, potente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ricordando a tutti che “il parametro per il giudice non è la condivisione o non dei contenuti della norma che è chiamato ad applicare: a meno che non dubiti motivatamente della sua coerenza con la Costituzione”. Mantovano ha poi puntualizzato che “non compete alle Corti né l’invenzione del diritto, né la teorizzazione della maggiore idoneità della procedura giudiziaria a comporre quei conflitti che richiedono esercizio di discrezionalità politica, né la sostituzione a organi nazionali o sovranazionali nel qualificare le relazioni fra gli Stati”. “Compete alle Corti esprimersi in nome del popolo italiano, non in vece del popolo italiano”, ha poi sottolineato il sottosegretario, già giudice della Cassazione, precisando che “la Costituzione pone le scelte del legislatore in una posizione di preminenza rispetto all’intervento giudiziario, con un solo fondamentale limite: la conformità alla stessa Carta, la cui verifica compete alla Consulta”.

Vale, allora, la pena ricordare che non solo non è stata aperta una procedura disciplinare ma il Csm si appresta adesso a votare una pratica, firmata dai togati progressisti a Palazzo dei Marescialli, in cui si esprime grande solidarietà alla toga sotto attacco dell’esecutivo. Uno smacco senza precedenti dal momento che i laici di destra-centro al Csm sono otto su dieci. La mossa della Lega, tramite il suo sottosegretario all’Interno Nicola Molteni di accusare un maresciallo dei carabinieri di essere l’autore del video si è rivelata un boomerang. Il diretto interessato ha smentito categoricamente di essere stato lui a divulgare, a cinque anni di distanza, il filmato incriminato. Come potrà uscire da questo gorgo il tandem Meloni-Salvini nessuno è in grado di dirlo. Il silenzio del capo dello Stato Sergio Mattarella sulla vicenda, però, è quanto mai eloquente.