Bruno Contrada, dopo una decennale battaglia legale, dovrà essere risarcito. Lo ha stabilito ieri la Cassazione. Ex capo della squadra mobile della Questura di Palermo, Contrada era stato condannato in via definitiva nel 2007 a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, quasi tutti scontati in regime detentivo. Nel 2015 la Cedu aveva annullato la sentenza ritenendo il reato frutto di una interpretazione giurisprudenziale.

Contrada, in particolare, era accusato di avere avuto rapporti con i mandanti ed esecutori della strage di via D’Amelio dove perse la vita Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta. Arrestato alla vigilia di Natale del 1992 su richiesta dell’allora procuratore di Palermo Giancarlo Caselli, patì un iter processuale quanto mai complesso in quanto gli unici elementi di prova erano le dichiarazioni di alcuni pentiti, a iniziare da Gaspare Mutolo. Nel 2015, come detto, la Cedu, a cui i suoi avvocati si erano rivolti, aveva però stabilito che tale condanna dovesse essere cancellata in quanto il reato di concorso esterno era il risultato di “un’evoluzione giurisprudenziale iniziata alla fine degli anni ‘80 del ‘900”, e quindi non previsto da disposizioni di legge.

Per tale motivo, l’Italia aveva violato l’articolo 7 della Convenzione dei diritti dell’uomo secondo il quale nessuno può essere condannato per un’azione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato per il diritto interno o internazionale. Il governo italiano aveva anche presentato ricorso, poi respinto, alla Grande Chambre contro tale pronuncia. Contrada aveva allora depositato istanza di revoca del provvedimento di destituzione emesso nei suoi confronti a gennaio del 1993, chiedendo il reintegro seppure in quiescenza, e contestualmente il risarcimento per l’ingiusta carcerazione patita. Per il primo aspetto, l’allora capo della Polizia Franco Gabrielli aveva dato corso alla richiesta, ricostruendogli la carriera da prefetto, e per il secondo la Corte d’appello di Palermo, nel 2020, gli aveva riconosciuto un risarcimento di 667mila euro. La pronuncia della Corte d’Appello venne impugnata in Cassazione dalla Procura generale del capoluogo siciliano, allora retta da Roberto Scarpinato, attuale senatore del M5s.

La Cassazione aveva sposato la decisione della Corte palermitana, affermando che non vi era “alcuno spazio per revocare il giudicato di condanna presupposto”, disponendo un nuovo giudizio in quanto se la sentenza di condanna ed i suoi effetti dovevano essere annullati, Contrada aveva comunque commesso le condotte contestate e quindi non aveva diritto ad alcun risarcimento. La Corte d’appello di Palermo, in sede di rinvio, accettò tale orientamento, sconfessando così la sua precedente pronuncia con cui aveva fissato il risarcimento a Contrada. “Dopo anni sono state poste in esecuzione le due sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’uomo che hanno sancito che il procedimento a carico di Contrada è stato fin dall’inizio illegittimo ed illegittima era la condanna”, ha dichiarato ieri l’avvocato Stefano Giordano, difensore dell’ex funzionario di polizia.

“La Cassazione – ha aggiunto – ha messo una pietra tombale ad un massacro mediatico e giudiziario vergognoso e putrido che ci ha portati alla vittoria finale. Siamo giunti a tale risultato finale soltanto perché Contrada (92 anni il prossimo settembre, Ndr) è rimasto vivo nonostante tutta la sofferenza inflittagli”. “Per quanto riguarda il nostro studio, voglio sottolinearne la tenacia e la determinazione, nonché la fede in Dio che mi ha sempre accompagnato pur fra tanti tristi momenti”, ha proseguito Giordano che ha poi voluto ringraziare l’avvocato Cristiana Donizetti, “mia moglie senza il cui prezioso lavoro non sarebbe stato possibile conseguire questo risultato”.

L’avvocato Giordano ha preannunciato denunce nei confronti di magistrati e giornalisti che in questi anni hanno continuato, imperterriti, a sostenere la “colpevolezza” del suo assistito. Contrada, per la cronaca, era stato uno dei pochi ad accorgersi del depistaggio posto in essere dal falso pentito, creduto invece da diversi magistrati, Vincenzo Scarantino. “Durante il processo, 142 testimoni, fra cui cinque capi della Polizia, una ventina fra prefetti e questori, quattro alti generali dei carabinieri, testimoniarono a mio favore. Per i magistrati si trattò sempre di testimonianze inattendibili e non utilizzabili perché inquinate dai pregressi rapporti professionali avuti con me”, aveva detto in una recente intervista Contrada.