Anche la concussione per Giovanni Toti? È un’ipotesi giornalistica. Ma, finché non saranno separate le carriere tra il pm e il cronista, può darsi che il dottor Luca Monteverde, la toga sbarcata da La Spezia e dalla tradizione familiare all’interno di Magistratura Democratica, che a quanto pare è il vero uomo forte dell’inchiesta genovese, decida di raccogliere il suggerimento. Il fondamento? Una serie di condizionali. Perché l’imprenditore Aldo Spinelli, interrogato dalla giudice delle indagini preliminari Paola Faggioni e alla presenza del pm, “avrebbe” detto che il governatore della Regione Liguria gli “avrebbe” chiesto contributi economici in modo pressante, sopratutto nei periodi pre-elettorali.

Chi ha diffuso questa presunta notizia? Se risponde al vero, qualcuno che era nella stanza dove si è svolto l’interrogatorio. E si va dall’indagato e il suo difensore fino ai due magistrati e a chi ha verbalizzato. Ma siamo sicuri che spetti al cronista suggerire al procuratore di alzare il tiro dell’accusa e passare dalla corruzione alla concussione? Se poi la notizia fosse infondata, o se i toni con cui Spinelli ha pronunciato la frase fossero stati leggeri e scherzosi invece che seri, sarebbe pura immondizia. Non di nuovo conio, ci siamo abituati. Almeno dai giorni di Mani Pulite.

Mon chéri prima dell’arresto

Sicuramente ricorderà di quanto fosse importante, in quei giorni, per gli inquirenti e per la stampa, separare il vero dalle suggestioni, Tonino Di Pietro, quando riceveva nel suo ufficio i cronisti in ciabatte, simbolo della sua stanchezza. E offriva mon chéri anche alle persone che stava per arrestare. Perché in quei giorni al palazzo di giustizia di Milano ci si viveva. Oggi colui che è diventato il simbolo di quel periodo tremendo è avvocato, oltre che agricoltore. E si sente, a guardare quel che ha detto ieri in un’intervista alla Stampa. Forse anche ad alcuni pm in servizio e soprattutto a certi cronisti giudiziari potrebbe essere utile un po’ di professione in qualche studio legale, prima di impugnare il codice o la penna e il pc.

Dall’altra parte del tavolo

Fare lo sforzo di mettersi per una volta dall’altra parte del tavolo. Non ha dovuto faticare, anche perché è sempre stato il più sveglio del gruppo, l’avvocato Di Pietro, per notare le anomalie del “caso Toti”. Naturalmente il neo-legale fa osservazioni di carattere generale. Ma appare chiaro il fatto che lui stesso conosce i suoi polli e sa che ci sono tanti modi, visto che la discrezionalità è ampia, di svolgere le indagini. Prendiamo le intercettazioni, per esempio. Non si scandalizza, visto che Luca Palamara ha raccontato che lo facevano anche alcuni magistrati, dei cellulari lasciati fuori dalla famosa barca di Spinelli dove tanti incontri, più o meno amichevoli si erano svolti. Ma soprattutto osserva acutamente: “In quelle intercettazioni sulla barca ci sono battute da panfilo o confessioni gravissime? Stare attenti coi telefonini a prescindere vuol dire tutto o niente”.

Dovrebbe dirlo ai suoi ex colleghi, avvocato Di Pietro. Anche perché lei stesso porta bruciature e ferite sulla pelle, a causa di qualche intercettazione. Non può esser scappata dalla sua memoria per esempio quella del banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia, morto da pochi mesi. Che cosa diceva del pm Di Pietro e del suo avvocato Lucibello? Quei due mi hanno sbancato, oppure sbiancato? Ricordi dei tempi di tangentopoli e dei tanti errori commessi, che oggi l’ex simbolo di Mani Pulite riconosce, almeno in parte. Perché nell’intervista non parla dell’uso della custodia cautelare, che proprio a Milano è stato smodato, ingiusto e segnato da ben 41 suicidi.

La pesca a strascico… 

Ma il punto centrale dell’intervista della Stampa è un altro, e riflette perfettamente quello che abbiamo già sottolineato sul “caso Toti”: “…Il rischio che alcune indagini più che per accertare chi ha commesso il reato vengano svolte per accertare se qualcuno lo ha commesso. Ed è la tecnica della pesca a strascico”. Lui dice di aver fatto la formica più che il pescatore. E l’ammonimento calza come un guanto per questa inchiesta. Basti pensare che nasce con una corposa ordinanza della gip che parla di una presunta corruzione per contributi elettorali la cui somma è di 76.000 euro e poi, goccia dopo goccia, nell’arco di una settimana, si è gonfiata sulla stampa come un pallone aerostatico.

Rifiuti, i vaccini per il covid, e poi le cliniche private. Ma questa pesca a strascico, punteggiata di suggestioni che spuntano e ipotesi che si allargano, è frutto proprio della complicità tra certi cronisti e certi pm, l’unicità delle carriere che il magistrato Di Pietro conosceva e usava a piene mani. Ma l’avvocato Di Pietro, che sta oggi dall’altra parte del tavolo, con questa intervista che cosa intende suggerire ai magistrati di Genova? Magari di tenersi un po’ più strette quelle novemila pagine del fascicolo del pm da cui i cronisti attingono per partecipare alla pesca a strascico?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.