Lo scatolone è di cartone bianco e un po’ malandato. Porta la scritta “plico 3” e la sigla TI_00205. Sull’esame, anzi il riesame, del suo contenuto poggiano oggi le speranze di Massimo Bossetti, il muratore bergamasco condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Un pool di tecnici, avvocati, genetisti, informatici, docenti universitari, persone capaci di coltivare il “ragionevole dubbio” anche in presenza di una sentenza di condanna, si è messo spontaneamente a disposizione della famiglia per nuove perizie sui reperti che languivano sugli scaffali dove venivano conservati gli oggetti corpo di reato della procura della repubblica di Bergamo. Non si sa chi abbia fatto la richiesta, se Bossetti in persona o la moglie Marita Comi, visto che l’avvocato Salvagni, difensore storico dell’ergastolano, dice di non saperne niente. Lo scatolone è stato presentato giovedi scorso nella trasmissione Iceberg di Telelombardia, la stessa, condotta da Marco Oliva, in cui un mese fa il professor Taormina aveva annunciato di aver presentato un’istanza alla procura generale di Brescia perché verificasse se all’ospedale san Raffaele di Milano esisteva ancora materiale genetico di Yara, come affermato in aula dal professor Giorgio Casari, consulente della procura di Bergamo.

Il particolare non è secondario, perché la difesa di Bossetti nel corso dei processi aveva ripetutamente chiesto che fosse ripetuto l’esame del dna, l’unica prova su cui l’imputato è stato condannato, ma le era sempre stato risposto che non c’era più materiale disponibile. Un falso, evidentemente, che risulta anche scritto nella sentenza. Ma nei giorni scorsi il professor Casari, intervistato dal giornalista Giangavino Sulas per il settimanale Oggi, ha confermato che il materiale genetico esiste ancora. Ha anche aggiunto che (si presume in seguito all’istanza del professor Taormina) gli stessi magistrati ne hanno richiesto la consegna. «Stiamo restituendo le rimanenze alla procura di Bergamo» ha annunciato, aggiungendo che è meglio quel
materiale vada nelle mani giuste». Come a dire: si assumano i magistrati le loro responsabilità. Lui ha già dovuto rinunciare, negli anni scorsi, a un’intervista televisiva, proprio dopo la sua deposizione in aula, a causa di interventi “superiori”, proprio dal mondo investigativo. E la corte di cassazione ha dichiarato fuorvianti» le sue dichiarazioni. Comprensibile che un genetista stimato e consulente della procura chiami oggi la magistratura ad assumersi i suoi oneri, dopo tanti onori.

C’è un accanimento incredibile contro chiunque osi mettere in dubbio quel processo e quella sentenza ripetuta ormai per tre volte. Ma stranamente, benché Massimo Bossetti non sia certo una persona potente capace di muovere intorno a sé il mondo intero, è incredibile anche quante siano ormai le persone che hanno dubbi sulla sua colpevolezza. Nel corso di questi anni si sono formati comitati e gruppi di suoi sostenitori che operano al di fuori della stretta difesa nel processo. Soprattutto perché emerge sempre più quanto quel processo costoso ( sono stati spesi 6 milioni di euro solo per gli esami del dna, cui sono state sottoposte tutte le persone di un’intera valle) non abbia portato a nessuna prova né sul movente né sulla dinamica dei fatti. C’è solo la prova del dna, quasi la giustizia abbia abdicato in favore della scienza. Ma oggi, con il riesame dei reperti ( in particolare computer e cellulare) che furono sequestrati a Bossetti e su cui si è a lungo favoleggiato su particolari che in seguito sono evaporati, e con la certezza che nella sentenza c’è scritto il falso sulla disponibilità di materiale genetico su cui rifare l’esame del dna, si apre più di uno spiraglio, forse un portone, per arrivare alla revisione del processo.

Tiziana Maiolo

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