Sono serviti dieci anni al pm di Parma Paola Dal Monte per scrivere questa richiesta di archiviazione: «Gli investigatori sono incorsi in alcuni errori di valutazione che hanno determinato il contenuto della Cnr (comunicazione di notizia di reato, ndr) da cui è scaturita l’iscrizione». Quando uno pensa di aver già visto di tutto, ecco che la giustizia italiana offre subito qualche nuova perla. Questi i fatti. La Procura di Parma nel 2010 apre una serie di fascicoli sul Comune ducale, l’unico capoluogo di provincia in Emilia Romagna all’epoca retto da una amministrazione di centrodestra.

Sull’allora sindaco Piero Vignali, sui suoi assessori e dirigenti, si scatena una girandola di procedimenti per le accuse più disparate: dalla corruzione nella gestione degli appalti pubblici, all’assegnazione farlocca dei servizi di ristorazione scolastica, fino all’assunzione di personale in maniera illegittima. Vengono contestati tutti i reati indicati nel capo primo del libro secondo del codice penale. Le indagini sono condotte dalla guardia di finanza in maniera spettacolare. Perquisizioni, sequestri, esecuzioni di misure cautelari, avvengono sempre in diretta televisiva e gli indagati di turno apprendono la mattina dalla lettura dei giornali di essere oggetto delle attenzioni della Procura. I media locali e nazionali sono ferocissimi e appoggiano pancia a terra l’operato dei pm. Il Corriere della Sera, in un articolo a firma di Aldo Cazzullo, titola: “Parma, la città sotto inchiesta dove tutti rubavano tutto”.

Il procuratore Gerardo La Guardia, che qualche anno più tardi si candiderà alle elezioni con il Pd non venendo eletto, viene esaltato come il novello Antonio Di Pietro. Dopo mesi di questo trattamento Vignali è costretto alle dimissioni, spalancando nel 2012 le porte del Comune a Federico Pizzarotti, il primo sindaco grillino d’Italia, eletto a furor di popolo sull’onda dell’indignazione per l’asserita corruzione dilagante nella città di Maria Luigia. E le indagini? Questa settimana la sorpresa. Il procedimento più eclatante, quello dove erano indagati tutti i vertici dell’amministrazione comunale, quindi sindaco, direttore generale, segretario generale, assessore al personale, ecc, accusati a vario titolo di aver assunto personale in maniera clientelare, causando un danno alle casse comunali di oltre tre milioni di euro, si è concluso con un nulla di fatto.

«Il criterio previsto dalla legge per l’assunzione appare del tutto rispettato e non può essere invocata la violazione», scrive dopo dieci anni il pm nelle due paginette di richiesta di archiviazione. Archiviazione invece accolta per intervenuta prescrizione da parte del gip Mattia Fiorentini. Tutto ciò accade nel silenzio del Csm e dell’Anm, rinnovati dopo lo scandalo Palamara. Il sempre attento ministro della Giustizia Alfonso Bonafede farà qualcosa? Il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, fra la lettura di una chat di Palamara e l’altra, troverà il tempo di capire come sia stato possibile che un pm che abbia impiegato dieci (10) anni per chiudere un’indagine? Se invece tutto ciò è normale, ridateci subito Luca Palamara. Però come primo presidente della Cassazione.