Se pure esistessero, le buone ragioni del “sì” al referendum costituzionale scomparirebbero davanti al significato vero di quell’appuntamento: l’occasione di trionfo della concezione autoritaria che la cultura antiparlamentare dei 5 Stelle ha imposto al Paese nell’acquiescenza di classi dirigenti intimidite.

Finora la barbarie di quell’impostazione si manifestava in pur gravi e tuttavia ancora emendabili conati eversivi nel governo dell’economia, della giustizia, dell’ordine pubblico: ma ora pretende di consacrarsi, devastandola senza criterio, nella legge fondamentale della Repubblica.

Anzi, non senza criterio, ma in omaggio all’unico che è facile difendere in faccia a un elettorato disponibilissimo a farne la propria ragione di sfogo: con la croce sul “sì”, finalmente può sputare in faccia “alla politica” e per una volta impugna personalmente l’onestà della forbice che ne taglia i costi, i privilegi, l’immagine stessa, come il sicario che piscia sulla tomba della sua vittima.È comprensibile, ma non scusabile, che il partito democratico non sappia farsi carico della responsabilità che grava sul suo comportamento ambiguo.

Ma non si esce dall’angolo consentendo a qualche plenipotenziario di alzare il ditino a segnalazione del proprio giudizioso voto contrario: dall’angolo si esce assumendo una posizione comprensibile, senza aspettare di allargare le braccia davanti a un esito referendario determinato dal montare della demagogia anticasta, non certo dagli slalom accademici che vogliono infiorettarla.

I contributi per il “sì”, pubblicati su buoni giornali letti da politici e giornalisti e da una cerchia ristretta di elettori coltivati, nel luoghi dell’informazione allargata cedono il posto alla vigliaccheria delle tribune disertate, perché è più facile lasciare che il consenso si modelli grazie ai berci più efficaci diffusi sulle piattaforme social battute dal provvidenziale alleato. E così, lungo una specie di via democratica al populismo, il carro progressista porta le sue vivande al banchetto grillino. E se ne verrà qualcosa di male sarà sempre possibile ricordare che qualcuno diceva no. Forse anche questa, come “sull’evidente correlazione” tra immigrati e Covid, è la “cultura della complessità” su cui fondare l’alternativa di sinistra.