Giornalista e analista strategico, Gabriele Carrer ha 33 anni ma è già una firma di riferimento quando in Italia si scrive di intelligence. Lavora per Formiche ed è stato visiting fellow allo European Council on Foreign Relations. Per primo, lo scorso 17 dicembre, a seguito dell’arresto di Abedini a Milano, aveva scritto: “Attenzione agli italiani rimasti in Iran”. C’è stato subito qualche complottista pronto ad addossargli responsabilità premonitorie.

Avevi ragione: due giorni dopo l’arresto dell’iraniano, quello di Cecilia Sala. Come è nato il tuo ragionamento?
«Non è stato difficile. Ho messo assieme due elementi: i precedenti e, da giornalista, le fonti. Dopo aver letto le carte statunitensi su Abedini e i suoi forti legami con i Pasdaran, mi è tornato alla mente il caso di Assadollah Assadi, il diplomatico iraniano di stanza a Vienna condannato all’inizio del 2021 a 20 anni di carcere da un tribunale belga per tentato omicidio e coinvolgimento nel terrorismo in relazione all’attentato sventato contro un evento della Resistenza iraniana tre anni prima a Parigi. Nel 2023 il governo iraniano riuscì a farlo rientrare in patria scambiandolo con l’operatore umanitario belga Olivier Vandecasteele, condannato alla fine di un processo da più parti bollato come farsa. Questo pericoloso precedente ha allertato non solo me ma anche alcune fonti, tra cui membri della comunità iraniana in Italia».

A tua conoscenza, lo stesso warning era stato dato dai servizi ai giornalisti italiani operanti nell’area?
«Dobbiamo rimetterci a quanto dichiarato dai soggetti coinvolti. La caratteristica principale della cosiddetta diplomazia degli ostaggi messa in atto dalle autocrazie, ovvero l’asimmetria: da una parte le democrazie liberali, in cui le opinioni pubbliche rimangono colpite da vicende simili e premono sui governi affinché si risolvano velocemente; dall’altra le autocrazie, come Cina, Russia, Iran, Corea del Nord e Venezuela, che possono fare leva su diversi strumenti per ottenere i loro obiettivi senza curarsi troppo delle conseguenze. Nel contesto internazionale attuale il rischio geopolitico è un fattore, analizzato anche le fonti aperte come i giornali, per le grandi aziende, ma non solo».

A proposito, in Iran di giornalisti italiani ce n’erano due. Hanno scelto Cecilia Sala perché donna, e quindi per antonomasia, nel regime degli ayatollah, colpevole?
«Potrebbe aver avuto un peso. Ma credo che abbia pesato di più la notorietà che ha saputo conquistare grazie al suo lavoro. Potrebbe essere finita in mezzo a uno scontro di potere tra le due ali del regime, con i cosiddetti moderati che forse avrebbero preferito tentare la liberazione di Abedini con altri mezzi per non aumentare l’isolamento internazionale dell’Iran e i Pasdaran che hanno individuato lei come obiettivo proprio per la sua visibilità in Italia».

D’accordo, ma la “diplomazia degli ostaggi” non può essere favorita dall’Italia, formalmente. La liberazione o lo scambio di detenuti non esiste (ma piacerebbe molto a Cosa Nostra). Quale può essere, secondo te, una soluzione adottabile?
«La maggior parte degli studi sulla cosiddetta diplomazia degli ostaggi concordano sul fatto che la soluzione è la prevenzione. Servono strumenti nazionali, come per esempio linee guida dedicate e un continuo confronto tra pubblico e privato. Ma anche iniziative internazionali per delegittimare questa tattica, come sanzioni per i responsabili».

Si sta facendo tutto il possibile per liberarla? Le sue condizioni di detenzione sono brutali: dormire sul pavimento, mangiare pochi datteri al giorno, si chiama tortura.
«Solo i progressi possono dare una risposta a questa domanda. Ieri il governo ha ribadito la richiesta di liberazione immediata di Cecilia Sala, ricordando che è “giunta in Iran con regolare visto giornalistico”, e di “condizioni di detenzione dignitose” assicurandole “generi di conforto che finora le sono stati negati”. Nessuna menzione di Abedini, come a ricordare che da una parte ci sono vaghe accuse e dall’altra pesanti legami con i Pasdaran e l’attacco che ha ucciso soldati americani in Giordania».

Tra i risultati che Khamenei punta a ottenere mediante questa operazione, oltre alla liberazione di Abedini, c’è l’allontanamento dei giornalisti europei e occidentali?
«Temo di sì. È lo stesso atteggiamento adottato ultimamente da altre autocrazie, come Cina e Russia».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.