Germano Nicolini, una delle figure più importanti della Resistenza, compie oggi 100 anni. La cura della Memoria è un esercizio di democrazia che fa germogliare un domani migliore. In un Paese che dimentica troppo in fretta eroi e passato, abbiamo il dovere di custodire storie come la sua.  Ufficiale dell’Esercito, catturato dai tedeschi, riuscì a fuggire e rientrare in Emilia contribuendo a dar vita al movimento partigiano: nome di battaglia Diavolo, nonostante il suo animo buono. Fu la voce combattente di Stefano Cisco Bellotti, sulle note di Al Dievel, una stupenda canzone dei Modena City Ramblers, a farmi conoscere la storia di Germano. Non a caso Cisco, il 14 giugno scorso, chiuse la manifestazione dei metalmeccanici di Fim, Fiom e Uilm, all’ombra del Duomo di Milano, con quelle stesse strofe che contengono l’impegno per una società più giusta. Poi, nella piazza virtuale di Facebook, conobbi la nipote di Germano, Francesca, orgogliosa e impegnata socialmente, che mi accompagnò a conoscere il nonno nella sua Correggio: uno degli incontri più belli della mia vita, impreziosito dalla presenza dei miei tre bambini a simboleggiare il passaggio del testimone della passione civica che, di mano in mano, deve continuare a correre sulle gambe delle giovani generazioni.

Tutta la sua vita fu contraddistinta dalla ferma fiducia nel valore della giustizia da contrapporre a vendetta e odio. Sono almeno tre gli episodi che lo testimoniano. Il primo, quando Germano, pistola in mano, consapevole di correre un grande rischio, si rifiutò di consegnare dei prigionieri fascisti a un altro comandante partigiano privo di mandato autorizzato dal CNL: il rispetto di regole e diritto era un forte segno di discontinuità. Il secondo, quando a Liberazione avvenuta non esitò a difendere i prigionieri fascisti, rinchiusi nel carcere di Correggio, dalla folla inferocita pronta a chiudere i conti col recente passato: pur capendo la rabbia di chi cercava vendetta, i reclusi erano sotto la sua responsabilità e meritavano un giusto processo. Il terzo, quando nel ‘47, da sindaco di Correggio, realizzò la mensa dei “Reduci e Partigiani” per aiutare i bisognosi, senza distinzioni politiche, compresi coloro che durante la Guerra, pur non macchiandosi di crimini, avevano gonfiato le file nemiche: ricordava che loro, i partigiani, con l’esempio, erano chiamati a dimostrare di essere diversi da quelli che avevano sconfitto. Era questo lo spirito della Resistenza, ancora attuale, di praticare la responsabilità di ricostruire relazioni solidali e rinsaldare la società. Un atto eroico e coraggioso, un patrimonio collettivo da custodire e proteggere dalla tentazione di tinteggiare di un solo colore una battaglia di civiltà che seppe unire, in un larghissimo fronte comune, socialisti, comunisti, democristiani, azionisti, monarchici, liberali, repubblicani, anarchici e perfino il Fronte dell’Uomo Qualunque: tutti capaci di alzare lo sguardo per trovare unità su valori e obbiettivi comuni e nobili. Oggi, con una politica concentrata a indicare nemici e problemi, incurante, invece, di costruire alleanze e soluzioni, avremmo bisogno di riscoprire quella capacità di sintesi alta, fatta di progettualità collettiva e bene comune.  Nel 1947 Germano, vittima di una cospirazione, fu accusato ingiustamente dell’uccisione di don Pessina. Nonostante tutti conoscessero la sua estraneità ai fatti, fu condannato a 22 anni di carcere a seguito di false testimonianze.

Fu liberato dopo 10 anni grazie a un indulto, ma il riconoscimento della sua innocenza arrivò solo nel 1994: dopo 47 anni gli fu restituita quella giustizia che aveva sempre difeso e praticato.
Germano invita tutti a «ragionare con la propria testa» e, anche per questo, contrariamente alle indicazioni dell’Anpi, a cui aderì da subito, si pronunciò a favore della riforma costituzionale del 2016 sostenendo che «se i treni corrono a 300 km/h e le tecnologie vanno a velocità supersonica, anche le nostre istituzioni devono modernizzarsi. È impensabile che per fare una legge ci vogliano anche più di 2 anni, perché una norma deve essere collegata al contesto e al bisogno in cui nasce». Anche la Fim Cisl, con lo stesso spirito e pragmatismo, si schierò per il “sì”. In questi tempi di crisi avremmo avuto bisogno dei benefici su lavoro, politiche attive, scelte industriali ed energetiche che il superamento del Titolo V e la soluzione del contenzioso Stato-Regioni avrebbero prodotto, uscendo anche dall’estenuante palleggio tra le due camere dove tutto viene affossato e rinviato dall’incompetenza della classe dirigente, nascosta dietro al bicameralismo paritario. La storia di Germano, e i suoi insegnamenti, sono uno straordinario parallelismo con l’impegno sindacale. Con lui condividiamo l’attenzione per l’uguaglianza che «non vuol dire tutti uguali e conformati, ma vuol dire giustizia sociale, solidarietà e meritocrazia partendo da pari opportunità». Il Sindacato ha il dovere di riequilibrare l’ingiustizia della lotteria della nascita che assegna privilegi e difficoltà senza merito né colpa. Stanno qui i germogli di alcune grandi conquiste sindacali: nel 1973 i metalmeccanici realizzarono le 150 ore di diritto allo studio consentendo a centinaia di migliaia di lavoratori di accedere a percorsi scolastici, preclusi da condizioni di miseria, unendo progresso civile e avanzamento culturale per tutto il Paese; nel 2016, il contratto dei metalmeccanici ha sancito il diritto soggettivo alla formazione per tutti i lavoratori, la mano sapiente che accompagna le persone all’interno dei cambiamenti tecnologici, contenendo i rischi e massimizzando le opportunità; la previdenza complementare e la sanità integrativa sono state due risposte all’invecchiamento demografico e al conseguente stress del nostro stato sociale, una grande operazione di giustizia sociale e democrazia economica in grado di difendere l’universalità del welfare per i lavoratori, a prescindere dalle condizioni individuali di partenza.

È questa la capacità progettuale che fa vincere il Paese, che preferisce, ai vincoli delle posizioni di principio, la libertà della creatività e immaginazione per riattualizzare tutele e diritti e, allo stesso tempo, creare consapevolezza della sfera dei doveri facendo maturare, in definitiva, il valore della responsabilità come collante sociale. Anche la questione climatica sta presentando il conto delle disuguaglianze: i tanti che hanno subito sfruttamenti ambientali sono gli stessi esclusi dal benessere che quelle sopraffazioni hanno prodotto. È tempo, quindi, di spostare la competitività delle imprese sul campo della sostenibilità economica, sociale e ambientale, rendendola conveniente e in grado di produrre benefici diffusi. Il mondo diverso sognato dal Comandante Diavolo non esiste ancora. La fase storica è complicata, ma è il momento giusto per chi ha l’ambizione di contribuire a spingere il Paese sulla via giusta, organizzando, ogni giorno, la speranza. Lo dobbiamo a Germano.

Andrea Donegà

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