Rocco Morabito, è uno dei personaggi di spicco della ‘ndrangheta della Locride. Figlio di Domenico Morabito e Carmela Modafferi, nipote di Antonio Mollica e parente del temuto boss Peppe ‘Tiradritto’ Morabito, porta un cognome importante nel mondo della ‘ndrangheta, in Calabria e nella natia Africo. Detto “Il Tamunga”, per via del grosso fuoristrada Dkw Munga, considerato pressoché indistruttibile, con cui scorazzava per la Locride, è condannato a scontare 30 anni di carcere. Ha 53 anni, metà dei quali passati in latitanza.

Inizia presto la sua carriera criminale e già tra gli anni ’80 e ’90 è un esponente di spicco del clan dei Morabito. Ha studiato all’Università di Messina e nel 1988, quando aveva 22 anni, è stato arrestato per minacce rivolte a uno dei suoi professori universitari. Nell’89 suo fratello Leo Morabito è stato ucciso in un agguato mafioso e l’anno successivo anche Rocco è stato ferito in un altro attentato. Ancora ventenne, Morabito gestiva le quote della società Mistigrì a cui venivano intestate le auto utilizzate e le utenze degli affiliati alla cosca di Africo. Il suo nome è conosciuto anche a Milano dove a 25 anni ha iniziato a costruire il suo impero fondato sul traffico della coca. Nel capoluogo lombardo si divideva fra traffici e la bella vita nei locali che ha abbandonato solo con il rischio di un arresto imminente.

Si hanno notizie di lui anche nell’ambiente camorristico. Prima di diventare latitante, assieme ad altri affiliati, Rocco Morabito è stato visto a Baia Domizia di Sessa Aurunca, all’interno dell’abitazione di Alberto Beneduce, boss e narcotrafficante camorrista conosciuto con il soprannome di “A cocaina” e trovato qualche settimana dopo carbonizzato nel bagagliaio di un’auto. Poi la fuga in Sud America dove sotto la falsa identità di Francisco Antonio Capeletto Souza, imprenditore brasiliano d’origine, aveva messo su una redditizia attività di import-export e una coltivazione intensiva di soia. Il latitante si sentiva al sicuro dietro il volto pulito dell’imprenditore tanto da non sentire la necessità di tenere un basso profilo, vivendo in una delle località più esclusive dell’Uruguay tra donne e benessere, assegni e soldi in contanti, una Mercedes, 13 cellulari, 12 carte di credito e un passaporto brasiliano. Proprio nella hall di un prestigioso albergo è stato arrestato nel settembre del 2017, e condotto nel carcere centrale di Montevideo.

Ma la detenzione uruguayana è durata poco. Nei due anni in cui è stato trattenuto lì in attesa dell’esecuzione dell’estradizione, deliberata dalla Corte d’Appello il 29 marzo 2019, è fuggito tornando ad essere una primula rossa. La sua fuga dal carcere non ha nulla da invidiare a un film d’azione. Insieme ad altri tre detenuti, i brasiliani Leonardo Abel Sinopoli Azcoaga, e Matías Sebastián Acosta González, e Bruno Ezequiel Díaz, che in Argentina è stato condannato per omicidio, hanno scavato un tunnel e sono riusciti a scappare dal tetto del carcere costruito al centro di Montevideo. Da lì sono saltati sul balcone di un’anziana signora per poi svanire nuovamente dopo averla derubata dei soldi che aveva in casa. Rocco Morabito è accusato di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed altri gravi reati, sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano. Se fosse arrestato uscirebbe a 81 anni.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.