Spiegare oggi ad un giovane che non l’ha conosciuto chi era Giorgio Ruffolo non è cosa facile, perché la sua azione va contestualizzata nel periodo politico in cui si trovò a vivere, ma il suo pensiero presenta tratti importanti di modernità che ci possono aiutare anche oggi. Ruffolo era l’uomo del piano, della programmazione, del progetto.

Oggi siamo in una fase di transizione economica e produttiva e se non vogliamo andare avanti disordinatamente, senza un progetto, incuranti di chi se ne avvantaggerà e di chi invece rimarrà sotto le macerie della vecchia economia, rischiamo il populismo se non peggio. Ministro socialista dell’ambiente, ebbe la sorte di partecipare nel 1992 alla conferenza di Rio sul futuro della terra, una delle pietre miliari dell’ambientalismo ecologista. Il suo lungo curriculum professionale e istituzionale, parte addirittura dalla collaborazione con Enrico Mattei all’Eni. Successivamente, Segretario Generale della Programmazione economica, deputato europeo, deputato italiano e poi senatore, ministro dell’Ambiente per tutta la legislatura ’87-’92, e ancora deputato europeo, Giorgio Ruffolo ha percorso tutto l’iter di un’importante vicenda istituzionale.

Lo ha fatto con la competenza dell’economista di alto livello, ma anche con l’impegno di militante politico. Socialista fino dai tempi della sua militanza nella Federazione Giovanile Socialista Italiana, che a Palazzo Barberini ne 1947 andò con Saragat per ripulsa dello stalinismo frontista. Rientrato nel Psi militò nella corrente di Antonio Giolitti e poi nella sinistra di Riccardo Lombardi. Insieme partecipammo alla fondazione dei Democratici di sinistra, formazione politica che vide la collocazione del simbolo del Partito Socialista Europeo alla base della Quercia del Pds al posto di quello del Pci.

Su quest’ultima esperienza vorrei soffermarmi. A quell’epoca avevamo fondato la Federazione Laburista che fu una delle componenti essenziali degli Stati Generali della sinistra che nel febbraio 1998 portarono alla formazione dei Ds. Il nostro intento era quello di non disperdere l’importante impiantazione sociale e territoriale di quello che era stato il Pci e, per quello che se ne poteva salvare, anche del Psi, ma ristrutturarlo culturalmente e organizzativamente in un moderno partito socialdemocratico o forse ancor meglio laburista. Purtroppo, questa linea venne sconfitta. In nome della formazione di un Partito Democratico a vocazione maggioritaria, si optò invece per un partito “leggero” (e quindi debolmente organizzato sul territorio), che andasse aldilà del socialismo europeo ma in questo modo dotandosi di riferimenti ideali e valoriali troppo tenui per costituirne un efficace collante. Fu la famosa “fusione a freddo” tra postcomunisti italiani e postdemocristiani di sinistra, di cui gli stessi protagonisti ebbero poi a lamentarsi.

Quando questa ipotesi si delineò facemmo con Ruffolo un’ultima battaglia. Al congresso dei Ds del 2005, presentammo un “documento integrativo” a sei firme. Quella di Giorgio Ruffolo e di Alfredo Reichlin, di Giorgio Benvenuto e di Bruno Trentin, di Pasqualina Napoletano e mia. Volevamo andare oltre lo stesso simbolo adottato a Firenze che aveva solo una lillipuziana sigla Pse, per scrivervi a tutto tondo, Partito del Socialismo Europeo. Quando il documento integrativo cominciò ad essere approvato in molte federazioni, il vertice del partito decise di adottarlo e fu quindi approvato in congresso all’unanimità. Salvo che, meno di due anni dopo, pur di imbracciare la strada della formazione del Pd, uscire addirittura dal Pse. (In cui poi, ironia della storia, ve lo ricondusse Matteo Renzi).

Rievoco queste vicende, non per inutili rimpianti, ma per sottolineare come, il centro-sinistra, la sinistra riformista, per ricucire un rapporto con l’elettorato e in particolare con le classi lavoratrici che si è così deteriorato, debba oggi ripartire da fondamenta politico-ideali come quelle che animarono Giorgio Ruffolo. Da socialisti dobbiamo riaffermare il valore del lavoro, sia quello subordinato che quello dell’impresa, da ambientalisti affrontare con metodo programmatico i problemi della transizione ecologica, da laici in politica affermare le regole di una società pluralistica ed aperta. Giorgio Ruffolo credeva nella politica e quindi nel pubblico e voleva che nel potere pubblico si affermasse una logica al tempo stesso di razionalità e di partecipazione in un quadro capace di far esprimere al meglio l’iniziativa privata su grandi obiettivi collettivi. Una lezione che consideriamo viva ed attuale.

I ricordi che si affollano nella mia mente sono tanti, alcuni molti belli, qualcuno più amaro come la lotta politica inevitabilmente comporta. Dovrò forzatamente sceglierne uno, e sarà l’ultimo. Quella telefonata che mi rivolse all’inizio di un gennaio di tanti anni fa per chiedermi di sistemare le cose perché, quando fosse venuto il momento, si potesse celebrare il suo funerale in Chiesa Valdese. Lui che era un laico, aveva sentito il bisogno di un saluto, nel suo passaggio ad un’altra vita, in quella che è forse la più laica delle Chiese Cristiane, in questo modo arricchendo il messaggio politico militante e di uomo di profonda cultura che ci lascia.