C’era solo Visconti nella sua testa. Davvero, il Tempo perduto.
Chi era Helmut Berger, attore del tormento che amò Visconti e mancò Proust

Helmut Berger amava, ricambiato, Luchino Visconti, il loro fu un rapporto intenso e non breve che peraltro non escludeva altre storie anche con donne, fu un vero amore. Berger, morto a 78 anni, attore dotato di una bellezza che qualcuno definì superiore a quella di un altro attore viscontiano come Alain Delon – il che è tutto dire – già nella Caduta degli dei aveva rivelato una sorta di mobilità nervosa del viso e uno sguardo gelido che catturarono subito il pubblico e naturalmente estasiava il regista milanese che poi gli fece fare anche Gruppo di famiglia in un interno e la sua ultima opera, Ludwig, che il Maestro diresse in carrozzina.
Dopo averlo già fatto lavorare nel Crepuscolo degli Dei, Visconti pensò a lui per il ruolo di Morel in quella proustiana Recherche che purtroppo non riuscì mai a fare. Questa è una storia che non molti conoscono, quella del mancato incontro tra Visconti e Proust. Il giovane Luchino lesse in francese il capolavoro proustiano non molto tempo dopo la sua uscita, siamo nei primi anni Venti del secolo scorso. Passa mezzo secolo e nella primavera del 1971 Visconti fece un soggiorno a Illiers, la Combray della Recherche proustiana, il luogo dove si sviluppa l’inizio della immensa opera dello scrittore francese: già da qualche anno era riuscito a ottenere i diritti per trarne un film che verosimilmente sarebbe stato come un enorme terzo capitolo “letterario” dopo Il Gattopardo e Morte a Venezia, un progetto che per svariate cause, non ultima la difficoltà a trovare i necessari, cospicui finanziamenti, il regista milanese non realizzò mai (e forse sarebbe stato l’unico a fare un film da Proust, gli altri tentativi non sono memorabili).
Aveva già in mente il cast, un cast pazzesco: pensava persino di richiamare sul set la “divina” Greta Garbo! Per Helmut Berger individuò il ruolo di Charlie Morel, personaggio non tra i maggiori dell’opera, un virtuoso violinista, giovane, sfuggente, un po’ pazzo, bello, omosessuale, amatissimo da una figura centrale della Recherche, il barone di Charlus (per il quale Visconti aveva pensato nientemeno che a Marlon Brando). Charlus, anziano, vizioso e geniale, simboleggia il mondo decadente della nobilità francese che crolla sotto il peso di un Novecento che ha il volto della guerra mondiale, e Morel è un po’ il suo schiavetto, anche se questi è furbo, lo tradisce, lo fa ingelosire in quello che è uno dei vari rapporti masochisti del gran libro di Proust.
È chiaro che Helmut Berger sarebbe stato messo davanti a una prova difficilissima dovendo avere di fronte Marlon Brando in un gioco al massacro: chissà cosa ne sarebbe venuto fuori. Anche Vittorio De Sica apprezzava l’attore austriaco e lo impegnò nel Giardino dei Finzi Contini nella parte di uno dei giovani amici di Micol (Dominique Sanda). Berger, uomo tormentato, soffrì immensamente per la morte di Luchino Visconti, e non si riprese mai del tutto malgrado, si autodefiniva “una vedova”. Entrò in un cono d’ombra fosse riuscito a lavorare in altri film con registi importanti, da Joseph Losey a Francis Ford Coppola (una particina nel Padrino parte terza) ma era ormai ai margini del grande cinema. C’era solo Visconti nella sua testa. Davvero, il Tempo perduto.
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