La segretaria globetrotter non deve amare il Parlamento visto che frequenta così poco l’aula. Ora è in campagna elettorale per le amministrative e intanto organizza le partecipazioni di piazza. La prossima è sabato, con i sindacati, contro il decreto lavoro e la precarietà. Nel frattempo i gruppi parlamentari del Pd si guardano spaesati: la segretaria chi? Dove? E, quando? “Missing, non c’è mai, non facciamo mai una riunione, peggio, non sono stati neppure fatti gli uffici di presidenza di Camera e Senato dopo la nomina della nuova capogruppo…”. Ecco, sì, Chiara Braga viene vista spesso ma quasi sempre al telefono “a prendere la linea dalla segretaria”.

C’è un clima mesto nel Pd. O meglio, c’è quel senso di straniamento che prende chi è nella nebbia fitta e non trova la strada. Ogni tanto un lampo di luce – ad esempio la scorsa settimana quando la maggioranza non è riuscita a trovare i numeri per approvare il Def – che però si spenge subito perché il primo partito di opposizione non ha piani di reazione e di intervento rapido. Così le occasioni passano senza lasciare segno.

Difficile dire quanti siano i riformisti nei gruppi parlamentari Pd. C’è chi ci ha provato e non trovando risposte ha già lasciato (il senatore Enrico Borghi), c’è chi ci sta pensando, c’è chi non si rassegna e ci prova ancora. Ad interloquire con la segretaria “per ritrovare – dice una deputata – lo spirito originario del Pd che è unire diverse anime e culture e trovare poi la sintesi”. C’è chi dice, “basta rimuginare proviamo a fare”. Fare cosa? “Proposte concrete – dice l’ex ministra e deputata Marianna Madia – su temi per noi cruciali e su cui francamente il Pd non ha una linea chiara”. Con Lia Quartapelle avviano oggi i “Seminari sul futuro” una serie di conferenze programmatiche su temi secondo loro centrali: sanità (4 maggio); immigrazione e integrazione (15 maggio); mancata crescita dei salari, tra i più bassi d’Europa e fermi in pratica da decenni (27 maggio). “Questo governo non ha nessuna idea di futuro e allora lavoreremo – ha spiegato Quartapelle – perché sia il Pd a proporne una”. Parla di “rinnovamento del nostro partito nella parte dei contenuti”. Così come Madia ha spiegato di “trovare sbagliato lamentarsi senza fare nulla, abbiamo la responsabilità di portare avanti e animare discussioni costruttive”.

Mettiamola così: entrambe la toccano piano, con grazia e qualche residua apertura. Un ultimo grido di dolore pubblico e manifesto – per giocare pulito – e vedere di discutere, scrivere e proporre il programma del Pd e dell’opposizione. Ma si tratta, appunto, di una last call. Perché i mal di pancia tra i riformisti del Pd sono multipli. E aumentano. Non piace il metodo della segretaria, quell’eccesso di movimentismo senza aver prima definito una proposta programmatica accompagnato da affermazioni importanti (ad esempio il sostanziale via libera all’utero in affitto) mai concordato in alcuna sede. Non piace neppure questo continuo strizzare l’occhio alla piazza con un filo di nostalgia per le manifestazioni francesi, spagnole. “Perché loro sì e noi no” è un pensiero che ogni tanto scappa a voce alta nei capannelli della sinistra Pd. Quella della segretaria, insomma.

Al di là della propaganda che fa dare numeri a caso, non condividono – i riformisti del Pd – l’attacco frontale al decreto Lavoro del governo Meloni. Il taglio del cuneo è la strada giusta ma non è sufficiente e, soprattutto, è una misura spot, non strutturale. A dicembre sarà necessario trovare 11 miliardi per confermare gli stessi tagli nel 2024. Diversamente le tasse per i redditi medio bassi aumenteranno. E se il governo troverà i soldi per queste misure, difficile che ne trovi per aumentare le pensioni e fare la flat tax. Bene la riforma del reddito di cittadinanza con il ritrovato reddito di inclusione per i non occupabili e chi ha a carico minori, anziani o disabili. Male la parte delle politiche attive: i 350 euro per una platea di circa 400 mila occupabili per fare i corsi di formazione rischiano di essere buttati via se non si riesce prima ad incrociare domanda ed offerta. Per essere più chiari: gli occupabili del sud a cosa si formano se non sanno quali sono i posti di lavori disponibili?

Non condividono, i riformisti del Pd, il no della segretaria alle spese militari pari al 2% del pil. Il presidente del Copasir ed ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini vorrebbe tanto argomentare sul tema ma se lo facesse un attimo dopo avrebbe un piede fuori dal partito. Così come i dubbi sempre più crescenti sull’appoggio militare all’Ucraina: guai tentennare su questo come invece sempre più spesso succede nel dibattito parlamentare che dà fiato ai facili e anche comprensibili umori della piazza. Il Pd riformista non è il partito delle tasse e della patrimoniale invocate dalla sinistra del partito. Vuole il termovalorizzatore a Roma e non perché è una “decisione già presa” (cit. Schlein) ma perchè è quella giusta e punta le sue carte sul nucleare di ultima generazione. In questo andando anche oltre la destra di governo. “Il fatto di essere minoranza nel partito non vuol dire stare in un angolo a braccia incrociate. Dobbiamo avanzare le nostre proposte e spero ci sia la disponibilità a dialogare” dice la riformista Madia. I “seminari” servono a questo. Last call, appunto. Nel frattempo, Stefano Bonaccini, il segretario sconfitto, guida dei riformisti del Pd e della minoranza del partito, non è pervenuto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.