La Cina diventerà la più grande economia del mondo entro la fine degli anni ’20. Secondo il Center for Economics and Business Research (Cebr), il valore dell’economia cinese supererà quello degli Stati Uniti entro il 2028, cioè con cinque anni di anticipo rispetto alle previsioni dell’anno scorso. Per il gruppo di consulenza con sede nel Regno Unito, il Covid è stato determinante: mentre la pandemia mette ancora in ginocchio gli Usa (-5% di crescita), la Cina è in forte ripresa (+2% nel 2020). Secondo Douglas Mc Williams, vice presidente del Cebr, «la grande novità in queste previsioni è la velocità di crescita dell’economia cinese. Ci aspettiamo che diventi un’economia ad alto reddito durante l’attuale periodo del piano quinquennale (2020-25). E che sorpassi gli Usa ben cinque anni prima rispetto alle previsioni di un anno fa». Inoltre, il colosso asiatico supererà la soglia di 12.500 dollari pro capite per diventare un paese ad alto reddito entro il 2023. È vero che, ciononostante, il tenore di vita in Cina rimarrà molto più basso che negli Stati Uniti e nei paesi dell’Europa occidentale. Ma la strada è segnata. E sulla stessa scia si muovono anche altre economie asiatiche. «Una lezione per i politici occidentali, che si sono comportati relativamente male durante la pandemia, è che devono prestare molta più attenzione a ciò che accade in Asia piuttosto che semplicemente guardarsi l’un l’altro», avverte Mc Williams.
L’espansione economica di Pechino insieme al mancato rispetto della democrazia liberale e dei diritti politici, civili e sociali da parte del governo di Xi Jinping creano allarme nei paesi occidentali. Ecco perché Usa e Ue cominciano ad adottare contromisure.
L’Unione europea, per esempio, sembrava ormai a un passo dalla chiusura di un accordo economico con la Cina che avrebbe favorito gli investimenti di Pechino in Europa. Xi Jinping sperava di chiudere prima dell’insediamento definitivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Da anni l’Europa preme per un maggiore accesso al mercato cinese strettamente controllato dall’amministrazione statale. Secondo l’Ue le aziende cinesi hanno accesso libero all’Europa, ma non vale il reciproco. L’accordo di investimento, noto come Comprehensive Agreement on Investment (Cai), servirebbe per creare un nuovo equilibrio. Ma, come ricorda Emily Rahuala del Washington Post, «dal 2014 – quando ha preso il via il negoziato – ad oggi, la Cina è diventata più autoritaria in patria e più aggressiva all’estero. Per un po’, l’Europa sembrava orientata su una linea più morbida. Ma l’iniziale occultamento cinese dell’epidemia di coronavirus, la repressione nello Xinjiang e la repressione di Hong Kong potrebbero cambiare la situazione».
Poco prima di natale, Franck Riester, il ministro del Commercio francese, ha detto a Le Monde che il suo paese non firmerà un accordo a meno che la Cina non affronti le questioni del lavoro forzato nello Xinjiang. A sua volta Jake Sullivan, appena nominato consigliere per la sicurezza nazionale da Joe Biden, ha dichiarato nei giorni scorsi che gli Stati Uniti apprezzerebbero un confronto con l’Unione prima di ogni eventuale accordo con Pechino. Ecco perché l’accordo tra Europa e Cina è stato per il momento rinviato.
Nel frattempo, sull’altra sponda dell’Atlantico, il governo americano si cautela contro l’espansione economica e tecnologica della Cina. Washington ha annunciato la settimana scorsa che richiederà agli esportatori statunitensi una licenza prima di poter vendere alla Smic (Semiconductor Manufacturing International Corporation), l’azienda, controllata dal governo di Pechino, che utilizza software e apparecchiature di fabbricazione americana per creare i suoi chip. Anche se la Smic afferma di non avere rapporti con l’esercito cinese, l’amministrazione americana vuole impedire che la compagnia utilizzi la sua tecnologia per aiutare Xi Jinping a modernizzare le sue forze armate. Joe Biden deve ancora entrare alla Casa Bianca e il 2021 deve ancora cominciare, ma le grandi sfide economiche e strategiche del decennio sono già in corso.

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