Nel Partito Democratico si è aperta la fase del confronto interno. Dialettico. Anzi: teso, come testimoniano i dirigenti che però ufficialmente non vogliono o non possono dichiarare niente. Perché pare che al Nazareno circoli, dopo essersi forse sgolati troppo in Liguria, una epidemia di afonia. A chiamarli al telefono, tanti ci dicono di non essere in condizione di parlare. Speriamo non sia un nuovo virus. Certo, l’analisi della sconfitta ligure pesa. E non poco, visto che se il partito è andato bene, facendo il pieno di voti militanti, la coalizione è fallita. Indicando un problema strategico di non poco conto. L’operazione è riuscita ma il paziente è morto. E il chirurgo sembra scrollarsene le spalle. Schlein ha un bel ripetere: «Siamo diventati il primo partito». Perché di quel tesoretto elettorale non sa cosa farsene, all’opposizione in Liguria per altri cinque anni.

Il nuovo Pd e la rivincita di Orlando ‘grazie’ al voto di Genova

Dopo i nove di Giovanni Toti, cacciato con le manette invocate dai forconi di piazza. La scommessa ligure, all-in, è persa. E qualcuno ne chiede conto al vertice. Alla segreteria. A partire da chi, essendo stato in Europa da protagonista, oggi sta tornando a casa sua, al Nazareno, per vedere cosa hanno combinato i ragazzi mentre era via. Paolo Gentiloni riveste i suoi panni, tornando nel suo Pd dopo cinque anni. Aveva partecipato tra i primi fondatori di quel partito – lui, primo portavoce di Rutelli, con la Margherita – nel 2007 al Lingotto per fondere le tradizioni democratiche cristiane e dell’ex Ds con quelle riformiste, laiche, socialiste e repubblicane. Come allora si disse. Si ritrova in segreteria Marco Furfaro, Sandro Ruotolo e la coordinatrice nazionale, Marta Bonafoni. Occupy Pd, insomma: proprio come gridava lo slogan lanciato proprio da Elly Schlein nel 2013 per protestare contro la generazione di Gentiloni. Nel frattempo i dem, avendo registrato un buon voto su Genova città, vanno in pressing per candidare a sindaco di Genova chi ha perso in Regione. Provaci ancora, Orlando. Lui «sta riflettendo e vuole confrontarsi con il gruppo in Regione e con il gruppo parlamentare di cui fa parte», risponde il suo staff senza aggiungere altro. Ma gli appelli, più o meno in chiaro cominciano a circolare, come quello di Gianni Pastorino, neoeletto nella lista civica Orlando presidente.

De Luca: “Sbagliato il veto a Renzi”

Le condizioni per mantenere il vantaggio e tornare in Comune dopo quasi un decennio stanno nella velocità di decisione (il tempo per discutere potrebbe essere davvero breve) e nella solidità e nell’unità della coalizione, nonostante il ‘peso’ dei Cinquestelle sia letteralmente crollato. Cosa che potrebbe portare anche a riesaminare il ‘veto’ su Italia viva: «Il veto su Renzi in Liguria? È stato un errore, perché è stato dato un messaggio sbagliato all’elettorato, e cioè voler tenere fuori un pezzo di rappresentanza della società. In Liguria hanno prevalso più i personalismi che la volontà di provare a vincere le elezioni», rimarca Piero De Luca, deputato dem. Per votare a Genova si dovrà attendere il maggio 2025, c’è tempo. Viene molto prima il turno delle altre due regionali. Si voterà da domenica 17 novembre a lunedì 18 alle 15 per eleggere il Presidente della Regione Umbria e dell’Emilia-Romagna. Nella regione di Perugia, dove il centrosinistra – dopo aver rinunciato a Catiuscia Marini, sospinti dal partito delle toghe, anni fa – ha intrapreso una continua disfatta, si sfideranno due donne. Stefania Proietti, sindaco di Assisi candidata per il centrosinistra, e la rivale leghista Donatella Tesi, presidente uscente, per il centrodestra.

Umbria, i sondaggi per le prossime regionali

Secondo un sondaggio di Swg sull’Umbria, commissionato da Avs, il centrosinistra sarebbe avanti di un punto percentuale. La vittoria arriverebbe grazie a un Pd poco sotto il 30 per cento. Anche in quel caso, l’anello debole, e ormai ultimo partitino della coalizione è il mini-5 Stelle di Conte, che resterebbe inchiodato al 4 per cento. Altri sondaggi darebbero invece un punto di vantaggio al centrodestra. Segno che l’incollatura vista in Liguria può tornare protagonista. E che il tracollo del partitino di Conte, ridotto a insignificante lista minore, rappresenta ormai quasi solo un peso per il centrosinistra.

Il mini-5Stelle 

Danilo Toninelli, intanto, si sta dando da fare per tenere fermo Beppe Grillo, per provare a non mandare alle ortiche il lavoro del M5S di questi ultimi undici anni. È in questo clima che Conte starebbe meditando di rompere l’alleanza con il Pd. La fronda cresce, a Campo Marzio. E in tanti consigliano a Grillo di strappare con i Dem, per salvarsi. Tempo di veleni. L’ex senatore 5S Vincenzo Presutto, fedelissimo di Grillo, rivela al Riformista: “Danilo (Toninelli, ndr.) sta evidenziando in modo chiaro il ruolo determinante ricoperto da Paola Taverna nella rapida scalata interna di Conte. A suo tempo avvisammo Grillo, fui proprio io a farlo insieme ad altri, del pericolo che stava correndo: sarebbe stato delegittimato e privato del proprio ruolo di Garante”. Tutti contro tutti, nel mini-5S. La crisi è tale che si sta pensando di richiamare in servizio addirittura Alessandro Di Battista.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.