Il caso
“Clp distrutta dal pretesto dell’antimafia”, parla Francesco Viale
Un ex socio, lontano parente della moglie dell’amministratore unico, viene coinvolto in un procedimento penale e scatta l’interdittiva antimafia. Da allora sono trascorsi otto anni, durante i quali l’azienda Clp, con una trentennale esperienza nel settore del trasporto pubblico, ha un presidio di legalità con due commissari prefettizi. Questo vuol dire che in tutti questi anni ogni documento firmato, ogni contratto con un dipendente, ogni decisione aziendale adottata dall’amministratore Francesco Viale è stata ratificata dai commissari nominati dalla Prefettura.
In tutti questi anni i conti e i movimenti della società Clp sono stati passati ai raggi X e mai sono state rilevate anomalie o irregolarità. Anche la Guardia di finanza per mesi ha scavato tra i flussi finanziari della proprietà e dell’azienda senza riscontrare alcun illecito. Eppure dal 2013 l’azienda ha il marchio dell’interdittiva antimafia. L’interdittiva scattò all’indomani dell’appalto che l’azienda ebbe nel trasporto pubblico regionale. Figlio di un medico chirurgo e di un’insegnante, già imprenditore nel settore della lavorazione di materie plastiche, Francesco Viale decise di rilevare la proprietà della Clp appartenuta alla famiglia della moglie. Quando un lontano parente di lei finì sotto inchiesta per altri fatti, per la Clp fu disposta l’interdittiva antimafia. Il parente si dimise, ma questo non bastò. E non sono bastati finora gli anni di sinergia con i commissari prefettizi e i conti trasparenti.
«Non si comprende il motivo per cui, dopo tanti anni di attività sinergica con la Prefettura, la Clp non venga valutata positivamente», spiega Viale. Sembra che la volontà della politica sia quella di non togliere l’interdittiva e nemmeno di rinnovarla, dei non rinnovare il contratto che la Clp ha con la Regione Campania: «Eppure serviamo 130 Comuni e non c’è mai stata una contestazione sull’esercito del pubblico servizio. I nostri dipendenti sono sempre pagati regolarmente e non c’è una sbavatura nella nostra capacità economica e finanziaria», precisa Viale. Inoltre, «mi risulta che tutti i contratti delle altre aziende siano stati rinnovati tranne quello della Clp e che la Regione abbia pagato tutte le aziende pubbliche e private per i servizi svolti tranne la nostra società che vanta crediti per circa 7 milioni di euro. Perché tutto questo?». L’interrogativo per il momento resta aperto.
Ma la storia è più articolata di quel che sembra. Negli ultimi mesi, infatti, sono accaduti fatti a seguito dei quali Francesco Viale, assistito dall’avvocato Esther Lettieri, ha presentato due denunce chiedendo l’intervento della Procura. Una prima denuncia riguarda l’hackeraggio del sito dell’azienda che, da quando è in atto la pandemia, rappresenta l’unica modalità che gli utenti hanno per acquistare i biglietti per poter viaggiare sugli autobus della Clp. La seconda denuncia riguarda invece una campagna di diffamazione e calunnia attuata attraverso i social e una serie di lettere anonime, con tanto di dati sensibili dei vertici e di alcuni dipendenti della Clp, che sono state diffuse con il chiaro intento di screditare l’azienda e chi la dirige. «Perché?», si domanda Viale. «Temo che sia in atto un tentativo di sciacallaggio per mettere in difficoltà l’azienda».
La Clp dà lavoro a circa 500 dipendenti e garantisce il trasporto pubblico con efficienza e costi competitivi. «Riusciamo a viaggiare al costo di 2,18 euro a chilometro a fronte dei 4,20 dell’azienda pubblica» afferma Viale. Come? «I nostri costi standard sono più bassi, paghiamo meno di assicurazione perché siamo molto attenti a non fare sinistri, non abbiamo consulenti che costano centomila euro all’anno e paghiamo i nostri dirigenti duemila euro al mese». A sentire Viale, dunque, affossare la Clp peserebbe anche sui conti pubblici. «L’azienda è sana, non è sequestrata, se avessimo avuto problemi in questi otto anni sarebbero emersi, l’interdittiva antimafia ormai è un marchio che non riusciamo a toglierci di dosso», conclude Viale mostrando con sconforto l’ennesimo rinvio del suo ricorso dinanzi al Tar perché l’Avvocatura dello Stato chiede ancora tempo.
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