Nell’appuntamento quotidiano con il nostro “Sì&No”, spazio al dibattito sulla reale utilità del Cnel: è un ente ancora utile? Lo abbiamo chiesto a Giuliano Cazzola, giornalista e politico, convinto che abbia ancora un’utilità, e alla parlamentare Iv Raffaella Paita, al contrario convinta che sia da abolire.

Qui di seguito, l’opinione di Raffaella Paita.

Il Cnel è un ente inutile, costoso e soprattutto è il simbolo della casta e degli sprechi della burocrazia. Per questo l’idea della premier Meloni di rivolgersi ad esso per formulare una proposta sul salario minimo, mi sembra solo un tentativo di prendere tempo e di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, quando è evidente che la maggioranza non ha nessuna intenzione di mettere mano ad un provvedimento che avrebbe costi insostenibili per le finanze pubbliche, almeno nella versione a prima firma Conte, in un momento in cui il ministro Giorgetti ammette che i soldi non ci sono nemmeno per la sanità.

La presidente Meloni, incassato qualche titolo e qualche foto con la passerella agostana e le strette di mano a Conte e Schlein, spedisce la proposta di salario minimo al più inconcludente e melmoso degli enti, il Cnel appunto, sperando che si impantani lì più di quanto non accadrebbe nei cassetti delle commissioni parlamentari. Un passaggio in più per allungare il brodo e dare una contentino al campo largo, illudendolo che la trattativa sui 9 euro l’ora vada avanti, mentre è solo un vicolo cieco. Un teatrino al quale sono contenta che Italia Viva si sia sottratta.

Ma così facendo, il governo Meloni mette anche a segno un autogol: dà ragione alla segretaria del Pd, che lo ha accusato di non avere una sua posizione sul salario minimo, e ammette implicitamente di non essere in grado di produrre nessuna idea su un tema così importante che riguarda il salario e il lavoro.

Il governo insomma si autoesautora, senza neanche ridare dignità al Parlamento, a sua volta esautorato dalla continua apposizione di voti di fiducia. A mio avviso dovrebbero essere proprio le Camere il luogo naturale di discussione e di dibattito su argomenti che toccano la vita dei cittadini. È il capolavoro meloniano: prima si snatura il Parlamento, ridotto a semplice notaio da un meccanismo perverso che ormai anche illustri esperti di Costituzione definiscono “bicameralismo alternato” in cui i due rami si limitano a ratificare provvedimenti già decisi dall’esecutivo senza nemmeno avere la possibilità di modificarli.

Poi, quando finalmente si potrebbe entrare nel merito di un tema su cui il governo non può o non vuole impegnarsi direttamente, ci si limita ad una frettolosa convocazione delle opposizioni a pochi giorni da Ferragosto, salvo poi evocare una specie di fantasma, tirando in ballo un ente del quale ci si ricorda se va bene una volta all’anno, in occasione della relazione sulla Pubblica Amministrazione. E si dà incarico al Cnel di studiare una soluzione. Da qualsiasi punto lo si guardi, questo coinvolgimento del Cnel è privo di senso.

A parte la sede romana, la bellissima villa Lubin che si trova all’interno di Villa Borghese, il Cnel è noto soprattutto per aver resistito a innumerevoli tentativi di abolizione. Ci provammo anche noi nel 2016, con la riforma Costituzionale. Si tratta di un organismo consultivo sui temi dell’economia e del lavoro, al quale, in teoria, la pubblica amministrazione, stato, regioni, comuni, si rivolgono per ottenere pareri e osservazioni. In più, la Costituzione gli riconosce la possibilità di formulare proposte di legge, al pari di governo, parlamentari, regioni e cittadini. Di fatto, nessuna proposta presentata dal Cnel è mai diventata legge. Il Consiglio naturalmente non è gratis, ma costa milioni di euro dei contribuenti: dai quasi 20 all’anno del periodo in cui tentammo di abolirlo, ai poco meno di 10 oggi, si tratta comunque di denaro che potrebbe essere impiegato in modi molto più produttivi.

Ma soprattutto, il Cnel è il simbolo della burocrazia che sconfigge la politica, il re di tutti gli enti inutili, un carrozzone, un poltronificio per qualche politico che non è riuscito a rientrare in Parlamento. Come l’attuale presidente, l’ex ministro Renato Brunetta: massimo rispetto per la sua carriera accademica, politica e istituzionale, ma vale la pena di ricordare che lo stesso Brunetta era a favore dell’abolizione del Cnel, salvo poi non farsi problemi ad accettare l’incarico.

E a proposito di coerenza, non mancano i campioni del mondo di giravolte: anche il Movimento 5 stelle ha proposto l’abolizione del Cnel. Dopo aver combattuto contro la nostra riforma costituzionale del 2016, accusandoci di “colpo di stato”, gli ineffabili grillini presentarono in Senato un disegno di legge per cancellare il Consiglio, adducendo più o meno le stesse nostre argomentazioni: inadeguatezza, inutilità, costi. Era il 2019. E oggi resteranno appesi per 60 giorni alle conclusioni degli esperti di Villa Lubin.

Per questo dico no al Cnel, e sì al Parlamento. E sì alla proposta di legge della Cisl sulla partecipazione agli utili dei lavoratori, che disciplina la presenza attiva dei lavoratori alla vita delle imprese, e favorisce la contrattazione collettiva e il protagonismo dei dipendenti. Anziché al Cnel, il governo venga alla Camera e al Senato a discutere di lavoro e salari.

Raffaella Paita / Senatrice Italia Viva

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