Una versione 'flessibile' che traghetta fino al 2024
Come andare in pensione con Quota 103, chi ne usufruirà e quando entrerà in vigore
Siamo alle limature finali, ma sembra che per Quota 103 sia quasi fatta. Il tema delle tiene banco in vista dalla prossima Legge di Bilancio anche se una riforma completa del sistema previdenziale, con le risorse limitate in campo che ridurranno l’impatto di gran parte delle misure, come promesso dai partiti di maggioranza in campagna elettorale, non è in cantiere.
Sarà quindi una mini-riforma, risultato di una semplice somma: 62 più 41, uguale 103. 62 sono gli anni di età e 41 quelli di contributi. Un calcolo che generà però anche un altro numero 700 milioni (circa) di euro – 1,4 miliardi nel 2024 – che consentirebbe ad una platea di 45-50 mila persone di lasciare il lavoro in anticipo rispetto ai 67 anni previsti dalla legge Fornero. Anche se i beneficiari potrebbero essere di meno.
Fra i provvedimenti da inserire nella Legge finanziaria per il 2023 che il Governo dovrà varare entro fine anno, dentro alla Manovra economica c’è anche la ‘Riforma delle pensioni’. Le ipotesi sul tavolo per una ristrutturazione completa del sistema pensionistico sono: prorogare quota 102 introdotta dal governo Draghi, non fare nulla e ritornare alla legge Fornero, o attuare una ‘soluzione ponte’ per il 2023 in attesa di un riordino complessivo della materia prima del 2024.
Quota 103 sarebbe dunque una soluzione ibrida che unirebbe Quota 41 (andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età) all’età anagrafica di 62 anni. Andrebbe quindi in pensione chi ha compiuto 62 anni e ha un minimo di 41 anni contributi. Questo meccanismo andrebbe a sostituire, solo per il 2023, quota 102 (un’età anagrafica di almeno 64 anni e un’anzianità contributiva minima di 38 anni) che scadrà a fine 2022.
Boomerang Fornero. C’è la concreta possibilità però che se in Manovra non si farà nulla si tornerà alla Legge Fornero. Questo significa in pensione a 67 anni di età ed almeno 20 anni di contributi oppure dopo 42 anni e dieci mesi di contribuzione, con le donne alleggerite di un anno. E se il governo non trovasse una soluzione entro dicembre, sia Ape sociale che Opzione donna, scadrebbero.
Sul tavolo l’incentivo del 10% di stipendio in più in busta paga. Un lavoratore che abbia maturato i requisiti potrebbe smetterebbe, come anche il datore di lavoro, di versare i contributi ed una parte di questa cifra entrerebbe in busta paga con un aumento pulito del 10%. Lo scopo della misura sarebbe quello di non privare il ‘sistema Italia’ di ritardare l’uscita dal mondo del lavoro incidendo di meno sui conti dell’Inps.
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