Il Memorandum Italia-Libia, blocchi navali, respingimenti, i migranti come risorsa e non come minaccia: la parola a un luminare della demografia e delle migrazioni: Massimo Livi Bacci. Docente di Demografia alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze, dal 1973 al 1993, Livi Bacci è stato segretario generale e presidente della International Union for the Scientific Study of Population (IUSPP), società scientifica di studi demografici nota in tutto il mondo, di cui è poi divenuto presidente onorario.

Da Emergency ad Amnesty International, da Oxfam al Centro Astalli: il mondo solidale è unito nel chiedere la cancellazione del Memorandum d’Intesa Italia-Libia. Come la vede?
Se non ricordo male, il Memorandum ha durata triennale e verrà a scadenza nel febbraio del 2023. L’intesa tra Italia e Libia presuppone che il nostro partner sia uno stato funzionante e responsabile. Così, con tutta evidenza, non è. L’articolo 1, lettera C) dell’intesa dice che “la parte italiana si impegna a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell’Interno”. I fatti dimostrano che questi “organismi” di fatto non esistono, o sono corrotti, o sono in combutta con potentati locali interessati a sostenere il traffico di migranti. L’articolo 2, comma 2, impegna il nostro paese all’ “adeguamento e al finanziamento dei centri di accoglienza” ai quali è impossibile avere accesso e sui quali è impossibile esercitare alcun controllo. Non so quale formula o procedura diplomatica vada seguita; cancellazione, sospensione, riformulazione, non rinnovo alla scadenza. Dovrà essere una formula che riconoscendo l’impossibilità di implementare le disposizioni dell’intesa non pregiudichi i possibili futuri rapporti con uno stato libico riconosciuto, responsabile e funzionante.

Blocco navale nelle acque territoriali libiche. Respingimenti di massa. Sono le “ricette” della destra per fra fronte alla “invasione” di migranti.
È stato più volte affermato che il blocco navale, che è un atto di guerra, è impossibile, se non vogliamo anche noi contribuire al disordine mondiale. Inoltre, dati alla mano, l’invasione non c’è, e comunque può essere regolata dagli strumenti legali esistenti. I respingimenti di massa non possono farsi, sono contro il diritto internazionale. Si può “respingere” la singola persona, esaminando il caso particolare, e constatato che non sia meritevole di protezione o di asilo, secondo modalità ben stabilite dalla legge. Non si possono respingere tutti i passeggeri di un barcone, di una nave, di un autobus, senza l’accurato esame dei casi individuali. Il diritto internazionale lo vieta, il senso di responsabilità di uno stato civile anche.

Esternalizzare le frontiere: è l’ossessione dell’Europa.
L’esternalizzazione delle frontiere somiglia alle ”casse di espansione” che raccolgono e frenano le acque in caso di alluvioni, impedendo la tracimazione delle acque dei fiumi a valle e danni a persone e cose. Fuor di metafora: penso che in casi di emergenza possa essere opportuno frenare un flusso eccezionale di immigrazione con intese internazionali (che coinvolgono finanziamenti imponenti, come nel caso della Turchia) con paesi che ospitino migranti diretti altrove. Ma non può trattarsi di politiche strutturali: come la cura del territorio può minimizzare gli effetti dannosi di piogge torrenziali e prolungate, così le politiche di intese sociali, economiche, culturali con i paesi di origine possono canalizzare i flussi migratori. Si tratta ovviamente di politiche complesse, costose, difficili, di lungo periodo, che richiedono inoltre un impegno “bipartisan”, e non possono cambiare ad ogni alternanza di governo.

Nel Mediterraneo aumentano le rotte di fuga: ora anche quella libanese. Stati falliti, popoli ridotti a una moltitudine di profughi. Libia, Libano, Siria, Yemen, Tunisia, l’Africa subsahariana e l’elenco potrebbe proseguire a lungo. Ma c’è chi parla ancora di “emergenza”.
Non solo nel Mediterraneo: si pensi ai milioni di ucraini in fuga! Questo tempestoso disordine sistemico può essere moderato solo dalla grande politica internazionale: i singoli stati, anche i più forti, sono impotenti. Questa considerazione non può renderci ottimisti, e occorre essere pronti ad affrontare situazioni eccezionali. Con gli Ucraini l’Europa, si è mossa bene, ma così facendo ha creato profughi di serie A (gli Ucraini) e profughi di serie B (tutti gli altri) che non godono dei privilegi legali e monetari dei primi. Un’ingiustizia frutto della ragion di stato.

”Inclusione” sembra essere una parola bandita dal vocabolario politico italiano.
È il dibattito sulle migrazioni che è regredito in modo preoccupante. Eppure il nostro Paese continua a esprimere una forte domanda di lavoro immigrato, e se vogliamo conservare i nostri livelli di vita, la nostra capacità di sviluppo e di competere in campo internazionale, dovremo assorbire flussi imponenti di migranti nei prossimi decenni. Che daranno un apporto vitale al paese, ma sui quali occorrerà anche investire. Investire per “includere”, economicamente, socialmente e culturalmente. O vogliamo forse che i migranti restino “esclusi”, a centinaia di migliaia, a milioni, tenuti fuori delle porte della nostra società?

”Fortezza Europa”. Una prospettiva politica o la più tragica delle illusioni?
È una fortezza frutto della nostra debolezza. Una delle cause sempre più incidente nelle migrazioni è legata ai cambiamenti climatici con le drammatiche conseguenze che essi determinano – fame, sete, smottamenti etc .- su una parte considerevole del pianeta e della sua popolazione. Questo problema, che sicuramente esiste, non è di portata immediata. È fortemente amplificata, e oserei dire, strumentalizzata dai media, ma va considerata nei suoi giusti termini. Qualche tempo fa, annunciando l’uscita di uno dei rapporti dell’Ipcc (l’agenzia Onu sul cambio climatico), un’agenzia di stampa nazionale di primaria importanza scriveva “Onu: il cambiamento climatico aumenterà fame e migrazioni”. Peccato che il citato rapporto sfiorasse appena l’argomento delle migrazioni, avanzando solo ipotesi ritenute dall’Ipcc molto debolmente suffragate dai fatti. Tuttavia, nel lungo periodo, si creeranno in vaste zone del mondo situazioni di maggiore stress climatico. Sono circa 3 miliardi gli abitanti che vivono in zone aride (il 38% della popolazione mondiale), in Asia e in Africa in prevalenza, e si calcola che nel 2050 raggiungeranno i 4 miliardi. Si stima che circa un sesto della popolazione delle zone aride viva in zone nelle quali è in atto un processo di desertificazione; esse sono molto vulnerabili alla desertificazione e al cambio climatico perché la loro sussistenza dipende prevalentemente dall’agricoltura. Il settore forse più colpito è quello della pastorizia e dell’agro-pastorizia. Non ci sono dati precisi sulla loro consistenza numerica, ma la maggior parte delle stime si pone tra i 100 e i 200 milioni, e tra questi tra 30 e 63 milioni praticano una pastorizia nomadica. Si tratta di serbatoi demografici imponenti che gli stress climatici possono rendere maggiormente propensi alle migrazioni. Ma ciò non vuol dire che “tutti” emigreranno, e una gran parte dei migranti si insedieranno in zone limitrofe senza ingrossare i flussi Sud-Nord.

Ai tempi più drammatici della pandemia, si è detto e scritto che eravamo tutti sulla stessa barca. Ma il mondo post pandemico è ancora più ingiusto e diseguale.
Sicuramente l’impatto dell’epidemia è stato “diseguale”. Ha colpito maggiormente gli emarginati, i migranti, soprattutto quelli irregolari; chi viveva in ambienti degradati o sovraffollati, alcuni ceti professionali e categorie di lavoratori. Tuttavia una cosa è il “durante” l’epidemia, e altra cosa il “dopo” l’epidemia. Qui le analisi non sono concordi: per capire l’effetto duraturo sulle disuguaglianze occorrerà attendere una piena normalità; capire gli effetti di medio-lungo termine sull’economia, le conseguenze delle azioni dei governi.

Mentre la politica discute di “invasioni”, blocchi, respingimenti, l’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, afferma: “Meno siamo peggio siamo, abbiamo bisogno di più migranti”. Professor Livi Bacci è una provocazione?
Non è una provocazione, è una verità. De Bortoli ha perfettamente ragione.

Ma perché questa verità fatica ad imporsi?
Perché l’immigrazione viene criminalizzata da almeno la metà delle forze politiche italiane. Di immigrazione abbiamo bisogno. Su questo non ci sono dubbi. Se per questo lo sanno pure i leghisti anche se non lo dicono. Con una popolazione che diminuisce, i giovani che diminuiscono, una natalità bassissima, noi abbiamo una forte necessità di immigrazione.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.