Dal sostegno all’appello di Emergency alla difesa del salario minimo garantito. La parola a Matteo Orfini, parlamentare Dem, candidato come capolista nella lista Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, per la Camera dei deputati nel collegio Lazio2 (plurinominale 02). La battaglia pacifista può andare a meta. Ad esempio sul contestato rifinanziamento alla Guardia costiera libica. Così twittava Orfini il 27 luglio: “Il Pd non vota a favore del rifinanziamento alla cosiddetta Guardia costiera libica. Una battaglia di pochi che finalmente diventa di tutto il partito. A dimostrazione che non bisogna mai rinunciare a una battaglia giusta, anche quando sembra di essere soli contro tutti”. E ora nel mirino è quel “patto infame”.

Emergency al Governo: “La Libia tortura i profughi, cancella quel patto infame”. Così questo giornale titola l’intervista a Rossella Miccio, la presidente dell’Ong fondata da Gino Strada. Quel “patto infame” è il Memorandum d’intesa Italia-Libia sottoscritto nel 2017 e tutt’ora in vigore. Lei come risponde all’appello?
Positivamente. Alcuni di noi lo chiedono da anni. Va peraltro ricordato che al momento del rinnovo del Memorandum, che fu un errore, c’era stato l’impegno del Governo, allora il Conte2, ad apportare modifiche a quel Memorandum che ovviamente non ci sono state, e questo la dice lunga sul Conte di sinistra. Quel Memorandum è fallito. Ed è fallita la strategia che lo ispirava. Il suo stesso ideatore, Minniti, in più di una occasione ha detto che non ha più senso riproporlo in quella forma ma che andrebbe riscritto completamente mettendo al centro il rispetto dei diritti umani. Visto che sarà uno dei primi atti del Governo post 25 settembre, sarebbe bene che tutti dicessero cosa intendono fare. Io penso che quel Memorandum sia da cancellare e che resterà una delle pagine più tristi nella storia del nostro Paese.

Nel 2017, da ministro dell’Interno, Marco Minniti affermò che “sicurezza è una parola di sinistra”. A distanza di cinque anni come riformulerebbe quella affermazione?
Non dovevo aspettare cinque anni. Su questi temi, come è noto, ho avuto sempre una posizione diversa da quella di Minniti. Nel senso che io trovo che sia sbagliatissimo costruire un nesso tra sicurezza e immigrazione, perché questo produce la criminalizzazione dei processi migratori nell’immaginario collettivo. Il che non significa che non ci siano fenomeni da gestire, che non esistano sacche di criminalità, che non ci siano elementi d’insicurezza. Ma la sicurezza è un tema un po’ più ampio e legarlo solo al tema dell’immigrazione è un errore. Io credo che quel termine, sicurezza, andrebbe declinato in modo completamente diverso…

Vale a dire?
A cominciare, ad esempio, dal tema della sicurezza sociale. Uno di quelli più dimenticati nel nostro Paese. Che significa diritto al lavoro, diritto all’inclusione, diritto all’abitare. Significa costruire le condizioni per garantire a tutti, con particolare attenzione alle persone più deboli, una vita dignitosa.

“Il modo in cui si sono formate le liste è un’ulteriore dimostrazione del carattere oligarchico del nostro sistema politico. Così Sabino Cassese in una intervista a questo giornale. Sempre nel dibattito aperto da Il Riformista, Sergio Fabbrini, altro autorevole scienziato della politica, ha sostenuto: “Gli eletti sono diventati degli imprenditori di se stessi e quindi si comportano sulla base dei vantaggi immediati che possono conquistare nel mercato politico”. Si sente chiamato in causa?
Sono giudizi molto duri ma che contengono degli elementi di verità, figli di un meccanismo elettorale che unito a una perdita di forza dei partiti, può produrre meccanismi di questo tipo. Se noi ne vogliamo uscire, dovremmo ripartire da leggi elettorali diverse. Nel mio piccolo mi sono sempre battuto per un proporzionale che preveda, almeno in parte, le preferenze che consentono quanto meno di ricostruire un rapporto con gli elettori. E soprattutto va ripensato il modo in cui funzionano i partiti. E lo dico pur essendo un parlamentare e un dirigente forse dell’unico partito rimasto, nel senso in cui intendiamo questa parola. Non un partito proprietà di un leader che sceglie tutto lui. È chiaro però che anche in un partito come il nostro, i meccanismi di selezione delle candidature e quelli di costruzione delle liste non hanno mai trovato una formula efficace che consentisse di evitare errori e polemiche. I temi della riforma dei partiti e della riforma della legge elettorale per me stanno insieme. Non è un caso che in questa legislatura alcuni di noi avevano provato a presentare una proposta di legge proporzionale e una di applicazione dell’articolo 49 della Costituzione, quello sui partiti, proprio perché è un tema fondamentale e anche un pezzo di risposta alla delusione dell’astensionismo e alla sfiducia nella politica.

Le elezioni si tengono mentre in Europa si continua a combattere. La guerra è entrata nel dibattito politico non per la sua gravità, per gli orrori consumati in Ucraina e per le pesanti ricadute che investono l’intera Europa, il caro gas e non solo, ma in termini di polemiche interne, di accuse e contro accuse su chi è più filo Nato o prono a Putin. Siamo messi così male?
Certamente il dibattito non è all’altezza del passaggio che stiamo vivendo. Noi Pd abbiamo fatto bene a sostenere l’Ucraina con ogni strumento possibile e a non minimizzare mai gli effetti sistemici che questo conflitto avrebbe avuto sull’Europa e anche sull’Italia. Detto questo, non bisogna mai perdere di vista il nodo di fondo, cioè il fatto che c’è una guerra voluta da Putin, c’è un’aggressione totalmente immotivata, ci sono persone i cui diritti vengono violati, che muoiono, che soffrono. Lavorare per la pace continua a essere una priorità. Perché questo avvenga c’è bisogno di una Europa unita che sappia essere impermeabile alle pressioni esercitate con ogni mezzo da Putin. Quando noi discutiamo sul piano interno su questo è perché i segnali che vengono da forze politiche che domani potrebbero governare e che paiono avere dubbi e tentennamenti su questo, a volte sono un po’ inquietanti. Lo show anti sanzioni inscenato da Salvini a Cernobbio ne è una conferma. Inquietante e imbarazzante perfino per la sua alleata Meloni.

Guardando agli schieramenti in campo, e in particolare a quello del centrosinistra. Il segretario del Pd aveva prima puntato a un’alleanza strategica con i 5Stelle di Giuseppe Conte per poi tentare con Azione di Carlo Calenda. I risultati?
Il tentativo di Letta è stato quello di tenere insieme un’alleanza più larga possibile. Per la strategia che il Pd si è dato in questi anni bisognava provarci. Non ha funzionato per scelte di altri. Il Movimento 5Stelle ha scelto di far cadere Draghi, Calenda di rompere dopo aver sottoscritto un accordo con noi. Questo forse può aiutare gli elettori a capire che c’è solo una forza che sta provando a battere la destra. E quella forza è il Partito democratico.

Cosa teme di più del destra-centro: la leadership Meloni? Il passato “nero” che non passa del tutto o le scelte sul futuro?
Demonizzare gli avversari non ha mai funzionato elettoralmente nella storia della sinistra. Al tempo steso credo che sia utile raccontarli per quello che sono. Noi abbiamo a che fare con forze politiche che hanno determinato la caduta del governo Draghi e un minuto dopo hanno chiesto a Draghi di risolvere il problema del caro energia, del caro bollette. Abbiamo di fronte persone che considerano i diritti un qualcosa che può essere compresso e negato. Persone che ritengono che il sistema di tutele e di garanzie che vorremmo inserire per limitare lo sfruttamento lavorativo e il precariato, siano inutili. Penso alla nostra battaglia sul salario minimo, contro i contratti pirata e la precarietà. Noi abbiamo a che fare con una destra che in Europa ha Orban come modello e in Italia combatte quotidianamente una guerra contro i più deboli e i più fragili. Senza demonizzarla, basta raccontarla. Far capire agli italiani che ci vogliono trenta secondi per votare nella cabina elettorale ma gli effetti di quel gesto durano cinque anni. Bisogna aver chiaro la direzione di marcia che stanno proponendo al Paese.

Una certa politologia nostrana continua ad asserire che si vince occupando il centro. Ma è proprio così?
Il terzo polo che nasce con questo obiettivo, occupare uno spazio centrista, oggi non è nemmeno terzo, secondo i sondaggi, ma il quarto. Non è questa la chiave. D’altra parte, la Lega che nelle europee andò al 34% non lo fece occupando il centro. E lo stesso dicasi per il Movimento 5Stelle che alle politiche del 2018 andò sopra il 30% e non certo occupando il centro. Oggi il primo partito, secondo i sondaggi, sarebbe Fratelli d’Italia che certo non occupa il centro. Mi sembra semmai che il tema sia quello di avere una proposta chiara per il Paese che sappia parlare anche a quella grande fascia di persone che o non vanno a votare o che fanno fatica a trovare nelle proposte classiche una risposta. E non a caso sono spesso la parte più fragile, economicamente e socialmente del Paese. Io penso che paghi una proposta forte, identitaria, che sappia rivolgersi a quella fascia di elettorato.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.