Sono stanca, siamo tutti stanchi di questa frettolosa fase pre-elettorale. Stiamo assistendo all’imbarazzante corsa alle candidature in cui non si capisce chi corre e chi rincorre, uno scapicollarsi a riempire liste sotto la scure del rapido conto alla rovescia del 21 agosto, giorno in cui scadranno la presentazione delle liste e intanto piovono candidature di facciata o “di servizio” (come si diceva un tempo) con nomi messi lì in posizioni inutili e ineleggibili. E di questa ineleggibilità ne saranno particolarmente vittime le donne visto che le candidature multiple sono degli uomini mentre alle donne sono riservate chissà perché collegi singoli.

Tutto in realtà si sta giocando a Roma, tra riunioni movimentate e accordi presi a notte fonda, dopo estenuanti trattative nella consapevolezza che, neanche i partiti maggiori possono garantire una candidatura anche solo per la metà degli uscenti, come dire un’abbondanza di deretani e una carenza di poltrone. Nel frattempo la gente comune è più che mai indifferente al dibattito politico, si parla poco di programmi e prospettive, tutti in fuga dalla politica con l’alibi della stanchezza, delle ferie agostane nel disinteresse generale per la macchina democratica. Eppure, in questi giorni, stiamo assistendo all’ostentazione dei cavalli vincenti, dei “pezzi migliori” da esibire mediaticamente, definiti da Letta i “front-runners” degli schieramenti e, come prevedibile, spunta il virologo (diventato popolare con la pandemia), il procuratore nazionale (perché di un magistrato c’è sempre bisogno) e persino l’attrice 95enne.

Mi chiedo, allora, se la politica fa “queste scelte” è perché ritiene di aver bisogno di “questo tipo di competenze”? Personalmente io vorrei votare qualcuno non perché è un buon medico o un buon magistrato (mi augurerei di trovarne negli ospedali e nei tribunali) ma semplicemente perché è un “buon politico” che sa fare appunto quel mestiere in maniera competente. Mi rendo conto che sto sollevando una vecchia guerra di religione, se per il buon governo di un paese servano più tecnici o più politici io vorrei semplicemente più “tecnici della politica” esperti nell’arte del mediare, del decidere, del legiferare e del proporre soluzioni. Ma per decidere se un politico ha competenze per esserlo c’è bisogno di evidenze oggettive, di risultati conseguiti in base ai quali valutare anche una sua eventuale ricandidatura. Volendo fare un esempio se un medico aspira a diventare primario bisogna che abbia una comprovata esperienza, un certo numero di pubblicazioni scientifiche e certamente una casistica clinica a lui favorevole.

Così è per i professori universitari e persino per i magistrati. Nelle maggior parte delle professioni di “servizio pubblico” si procede in carriera sulla base di una produttività professionale misurata in base ad obiettivi raggiunti. In politica non sembra essere così, i listini bloccati sono riservati non certo a chi ha dimostrato doti politiche ma ad un ristretto gota di fedelissimi del leader che indica questi nomi in autonomia. Intanto i giorni corrono e la scadenza delle candidature si avvicina. Si è costretti a riempire le liste all’ultimo momento tra ostentati rifiuti e sdegnate defezioni da parte di quelli disposti a correre ma solo se “garantiti”. E’ emergenza democratica? Non è una semplicemente una terribile brutta figura per la politica e per la sinistra in particolare. Per anni abbiamo assistito a candidature ricorrenti di politici nostalgici, sconfitti ma sempre disposti a misurarsi.

Oggi il PD ci consegna una pantomima davvero degna di “Ecce bombo”: mi si nota di più se non vengo o se mi metto in un angolo?, In un momento di crisi internazionale dove è necessario avere personalità politiche all’altezza, prevale il particolare sul generale, la convenienza sulla convinzione, l’opportunismo sull’opportunità. L’unica consolazione è che fra poco più di un mese tutto questo sarà finito, avremo un nuovo parlamento e che importa se con un astensionismo al 70% ed una emorragia di democrazia incausticabile.