Lo scenario in vista del voto
Quanti sono gli indecisi, con gli astenuti saranno decisivi alle elezioni politiche
Le prossime elezioni politiche potrebbero battere il record conquistato da quelle precedenti. Nel 2018, infatti, fu raggiunto un primato: è stato registrato il più alto dato di astensionismo a partire dal 1948. Per l’occasione non andò a votare il 27% degli aventi diritto. Rispetto al 2013 il “partito dell’astensione” è cresciuto del 3%. In Campania l’elettorato si è mantenuto in entrambe le consultazioni al di sotto del 70%. Parlando del rapporto tra elezioni e astensionismo, i numeri hanno descritto uno scenario molto esplicito. I cittadini recatisi alle urne sono stati sempre meno. Tranne in un caso. Alle elezioni europee, dal 2014 al 2019, gli astenuti sono aumentati del 3%. In Campania il dato è leggermente cresciuto: dal 49% di astenuti del 2014 si è passati al 53% del 2019. Le elezioni regionali hanno rappresentato un’eccezione. Nel 2015 ha disertato le urne il 48% degli elettori, il 45% nel 2020. Ma c’è stato un motivo. La pandemia ha reso quella competizione elettorale molto particolare. L’emergenza sanitaria ha probabilmente fatto da megafono per gli elettori, impauriti dal covid e dalla crisi economica che il virus ha causato.
Inoltre, la sovraesposizione mediatica del presidente Vincenzo De Luca e la timidezza dei suoi avversari hanno dato ai cittadini l’impressione di una gara alla quale partecipava un solo candidato. E veniamo alle comunali. L’ultima consultazione ha visto trionfare Gaetano Manfredi e l’astensione, cresciuta del 7% rispetto al primo turno del 2016. E quando fu eletto Luigi De Magistris al ballottaggio, per il secondo mandato, il “partito dell’astensione” fece bingo, raggiungendo il 64%. Attualmente è questo il contesto nel quale si stanno muovendo i partiti. E pare che nessuno dei contendenti abbia chiari programmi e modalità per convincere indecisi e astenuti. Queste due categorie messe insieme rappresentano il bacino elettorale decisivo per poter vincere le elezioni e garantire al Paese un governo forte e definito. Intendiamoci, la legge elettorale con la quale si andrà a votare è pessima. Il Rosatellum colpisce la rappresentatività democratica e indebolisce la stabilità della maggioranza eletta. Ma in quali condizioni i cittadini vanno a votare? Privati di un’adeguata informazione, vittime delle urla ascoltate in tv e dei litigi ai quali i politici si prestano sui social, gli elettori si dividono in tre categorie: quelli che con decisione aderiscono a una proposta politica; quelli che votano per non far vincere un politico avverso alla propria ideologia; quelli che votano per “il meno peggio”. Inoltre, a livello locale, le statistiche hanno rivelato che il voto non è uguale per tutti. L’astensione, infatti, è sempre cresciuta nelle classi sociali meno abbienti e in periferia. Quindi chi ha più strumenti culturali, ha maggiori opportunità per poter stabilire se votare e per chi. Ma c’è una variabile che potrebbe smuovere le acque.
Il famoso terzo polo che Carlo Calenda e Matteo Renzi vorrebbero far nascere, potrebbe pescare voti da tre fonti: dalla destra moderata, dai delusi del Partito Democratico e dagli astenuti-indecisi. Sono inoltre già nitidi due spostamenti elettorali, uno “interno” e l’altro “esterno”. Il primo è quello della Lega, il cui consenso potrebbe restare in coalizione e migrare verso Fratelli d’Italia. Il secondo riguarda il Movimento 5 Stelle, il cui tesoretto ottenuto nel 2018 potrebbe finire a destra, a sinistra e agli astenuti-indecisi. E le diaspore di Forza Italia e del M5S sono anche quelle che più interessano Napoli e la Campania. Qui si gioca la partita e per vincerla esistono solo una possibilità e un atto di coraggio: ai partiti toccherà mettere in campo una comunicazione chiara. I leader dovranno scegliere candidati credibili e competenti. Avranno il dovere di manifestare la propria identità politica, la linearità e la sostenibilità dei propri programmi. Ma a oggi questa sembra più un’utopia che una prospettiva.
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