Laura Boldrini, ex Presidente della Camera, dopo una carriera nella Fao e presso il WFP, è stata portavoce dell’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati. Impegnata con Liberi e Uguali, ha aderito il 24 settembre scorso al gruppo del Pd. Il voto del 16 luglio sul Decreto missioni, che rifinanziava anche la guardia costiera libica, l’ha vista esprimersi contro.

Sulle coste libiche la guardia costiera ha aperto il mitragliatore e falciato tre uomini. Era stato appena approvato il rifinanziamento italiano, gli stiamo dando tre milioni di euro.
Uno dei motivi per i quali non ho votato quel rifinanziamento è proprio per i metodi che i libici usano verso i migranti, e perché ci sono elementi della stessa guardia costiera di Tripoli che sono in combutta con i trafficanti.

Fanno il doppio gioco?
Non lo dico come frutto di una mia elaborazione. Risulta chiaramente dai rapporti delle associazioni umanitarie e perfino delle Nazioni Unite, oltre alle decine di inchieste giornalistiche internazionali che lo documentano.

D’altronde è un paese polverizzato, nel caos…
In Libia c’è un conflitto armato, a tratti cruento, e ci sono delle perdite umane dei libici e dei migranti che sono chiusi a chiave in luoghi di detenzione dai quali non riescono a mettersi in salvo; alla luce di questo ritenevo e ritengo un errore politico rifinanziare la Guardia costiera libica. Il che non vuol dire non sostenere la Libia o comunque il governo internazionalmente riconosciuto. Ci sono modi e modi.

Aiutiamo i libici a casa loro, ma non la guardia costiera?
Modifichiamo il tipo di aiuto, si dovrebbe incrementare il sostegno allo sminamento, visto che in molte zone sono presenti mine; si potrebbe sostenere la società civile, le famiglie più vulnerabili, gli sfollati interni, vittime del conflitto. Non sto dicendo “freghiamocene della Libia”, sto dicendo che bisogna cambiare. E modificare sostanzialmente il Memorandum of understanding. Io feci un Question time alla Camera, tempo fa. A distanza di qualche mese non se ne è saputo più nulla. Se il Parlamento chiede al governo come intende agire, poi non può non ricevere risposta, non avere più contezza di quel che accade. Quando c’è stato da votare per il rifinanziamento, lo scorso 16 luglio, io e altri colleghi e colleghe di maggioranza non ce la siamo sentite.

Un voto che ha comunque assegnato tre milioni in più dell’anno precedente. Eppure sappiamo piuttosto bene quel che avviene in Libia. C’è chi paragona i centri di detenzione libici ai lager nazisti.
Sono sempre molto attenta alle parole, la terminologia è sostanza. Ritengo che quelli libici siano luoghi di detenzione dove viene praticato il sopruso, la violenza e anche la tortura. Sia in quelli governativi che negli altri. Viene sistematicamente negato il diritto di accesso ai centri da parte degli organismi internazionali. Sono luoghi dove manca qualunque garanzia di diritto alla tutela delle persone. Sono luoghi dove non si finisce per aver commesso un reato ma dove si sta perché si è entrati irregolarmente nel Paese. Questo devono capire le persone: chi è lì è soggetto a ogni tipo di ricatti, anche economici.

Quasi ostaggi, praticamente.
Spesso i reclusi in questi centri devono chiedere a chi è rimasto a casa di spedirgli denaro per essere rimessi in libertà. Vengono liberati se pagano, altrimenti rimangono chiusi dentro. Non esiste Stato di diritto, altro che porto sicuro.

Rispetto alle diverse posizioni nella guerra civile libica, sappiamo com’è collocata la guardia costiera?
È una guerra aperta, quella di Libia dove intervengono anche potenze straniere. Una guerra che ha già causato morti e migliaia di sfollati libici che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case: una situazione di pericolo generalizzato. Ripeto: con una guerra in corso, si possono considerare quelli libici “porti sicuri”? Lo ha ricordato poco fa anche l’Unhcr.

Un avvitamento nella spirale del cinismo. Aiutiamoli a casa loro rimane uno slogan vuoto.
Sono anni che mi adopero per far passare questo concetto: riportare i migranti intercettati in mare in un luogo non sicuro, vuol dire comunque esporli a nuovi pericoli. È paradossale, quei profughi che scappavano da situazioni di pericolo, riacciuffati dalla guardia costiera libica, già sapevano cosa li attendeva in quei centri di detenzione. E mentre cercavano di mettersi in salvo i libici gli hanno sparato addosso. Questi sono metodi deplorevoli e inaccettabili. I soldi dei contribuenti italiani non possono essere spesi per sostenere chi applica questi metodi.

Dal punto di vista politico quale sarà la sua iniziativa?
Tutti avrebbero dovuto capire, col voto in aula il 16 luglio scorso, che si stava combinando un disastro. Adesso cosa fare? Spero innanzi tutto che anche alla luce di questo episodio si acceleri la revisione del Memorandum of understandig tra Italia e Libia. Non prendiamoci in giro: avere dalla Libia la garanzia che avrà rispetto dei diritti umani è illusorio. Nel tavolo della diplomazia dobbiamo starci con il senso di realtà.

Realisticamente, cosa si può fare adesso?
Quel che va fatto in Libia è articolato su tre punti-chiave. Il primo è che vanno chiusi quei centri di detenzione dove sono arbitrariamente trattenuti i migranti, come chiedono le Nazioni Unite da mesi. Il secondo è operare una evacuazione umanitaria, un trasferimento verso tutti quei Paesi che possono offrire delle quote di accoglienza. Terzo, risparmiare sui costi ingenti dei centri detentivi garantendo un uso diverso delle risorse. Perché non offrire ai privati la possibilità di accogliere i profughi in casa? Avrebbe certamente un impatto finanziario minore. Coniugare rispetto per i diritti ed economicità per i contribuenti è possibile e anzi doveroso.

Nella sinistra della maggioranza si è aperto un caso.
Ma rispetto a un anno fa alcune cose sono cambiate. La ministra Lamorgese non usa il linguaggio di Salvini, non vediamo dirette Facebook dalla terrazza del Viminale, non fa di ogni sbarco il motivo per aumentare l’asticella della disumanità.

I toni saranno cambiati ma i decreti Salvini rimangono dov’erano.
L’accordo di governo prevedeva di superare i cosiddetti decreti Salvini, a cominciare dai rilievi del Presidente della Repubblica. Parliamo di quasi un anno fa. Doveva essere una priorità già prima del Covid, adesso io mi auguro che quanto prima ci sarà la chiusura del cerchio e che questi decreti vengano radicalmente superati. Dobbiamo rimediare ai danni fatti da Salvini: quei decreti sono fatti apposta per aumentare l’insicurezza.

La aumentano?
Certo, perché quei decreti, abolendo il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, hanno messo migliaia di persone in condizioni di irregolarità. E questo ha creato ancora più marginalità e più problemi, specialmente agli enti locali.

Un’altra bandiera di quei decreti era la mancata iscrizione dei residenti asilo all’anagrafe.
La Corte Costituzionale ad inizio luglio lo ha dichiarato incostituzionale. Se le anagrafi municipali perdono di vista chi è sul territorio, non può esserci sicurezza. Quindi sono tutte norme contrarie ai nostri principi, a quelli della Costituzione, dell’ordinamento e a quelli delle convenzioni internazionali.

E non è il momento di superarli?
Certo. Ma finora pare che vi sia stato sempre qualcosa di più urgente, cambiare quei decreti non sembra essere stata una priorità. Non dimentichiamo: nella maggioranza c’è una componente che ha firmato e votato quei decreti ed è dunque più riluttante a metterci mano. Ma c’è un accordo di governo e pacta sunt servanda. Non si può più rimandare.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.