L'editoriale
La riforma del Csm è una truffa, M5S e PD si piegano alla magistratura

Anche nel suo momento più difficile, la magistratura vince facilmente la partita con la politica. A mani basse e persino umiliando e sbeffeggiando un po’ l’avversario. Due a zero: no alla separazione delle carriere, sì alla riforma truffa del Csm. Sebbene discretamente sputtanata, esposta al ludibrio per via di magistratopoli, con la propria credibilità in caduta verticale, con i nomi eccellenti del suo firmamento sospettati di atteggiamenti sicuramente non professionali e probabilmente illegali, la magistratura italiana resta il potere inattaccabile di sempre, la casta in grado di dire al popolo: “Io sono io, e voi…”
La politica forse, stavolta, poteva approfittare della debolezza della magistratura nel giudizio dell’opinione pubblica, e tentare un riequilibrio dei poteri. Una piccola rimonta. Ha preferito piegarsi, trattando forse, sottobanco, un pochino di indulgenza in più rispetto al passato.
Vediamo i fatti di questa settimana che si apre. Due soprattutto: la battaglia per la separazione delle carriere e la riforma del Csm (ci sarebbe poi l’avvio del processo a Palamara, ma sarà rinviato). La proposta di separazione delle carriere era giunta in Parlamento non grazie ai partiti politici ma per iniziativa delle Camere Penali che hanno raccolto più di 70 mila firme in calce a un disegno di legge popolare.
Di che si tratta? Di una legge di attuazione dell’articolo 111 della Costituzione. L’articolo 111 prevede il giusto processo, prevede che sia svolto nel confronto paritario tra accusa e difesa, e prevede che a giudicare sia un giudice terzo. Cosa vuol dire terzo? C’è l’accusa, che cerca di provare la colpevolezza dell’imputato. C’è la difesa, che cerca di smontare l’accusa. C’è il giudice, diciamo l’arbitro – terzo appunto – che valuta e decide. Cioè decide se dare ragione all’accusa o alla difesa. Può il giudice far parte della stessa squadra dell’accusa? Può essere un collega e magari un amico del rappresentante dell’accusa? Può avere il suo ufficio porta a porta con quello dell’accusatore? Può vederlo spesso al bar, talvolta a pranzo, qualche volta anche a cena con amici? Un giudice così, può essere definito terzo? Magari lo è pure, perchè ha incredibili doti personali di rigore e di imparzialità, ma certo l’imputato non può essere sicuro di questo. E certo finché le carriere di chi accusa e di chi giudica restano un’unica carriera, l’articolo 111 della Costituzione resta inattuato. Potremmo anche dire, spingendo appena un po’ più in là la polemica, che ogni volta che si svolge un processo si viola un articolo della Costituzione, potremmo anche dire che la mancata separazione delle carriere tiene tutto il sistema-giustizia in una condizione di sostanziale illegalità.
Come è possibile che la politica non abbia ancora pensato, in tanti anni, di riparare a questo scempio? E’ possibile per la semplice ragione che la politica, da circa un quarto di secolo, vive una condizione di totale subalternità alla magistratura, e che la magistratura vive in una condizione di totale subalternità ai Pm, alle loro lobby e alle loro organizzazioni (compresa l’Anm. E i Pm, e le lobby e il partito dei Pm, sono assolutamente contrari alla separazione delle carriere perché la separazione avrebbe due conseguenze: la riduzione del potere dei Pm, che non potrebbero esercitare nessun condizionamento sui giudici e sulle loro carriere; l’estrema complicazione del mestiere dei Pm, che per ottenere una condanna dovrebbero scarpinare, cercare le prove, confidare solo sulla forza dei propri argomenti e dei fatti oggettivi e non su qualche accondiscendenza da parte del giudice loro collega.
E così c’è stato bisogno di una legge di iniziativa popolare, portata in Parlamento dai penalisti. Ora che succede? Che i Cinque Stelle pensano a un emendamento soppressivo della proposta di legge, da approvare in commissione, in modo da evitare che il Parlamento persino ne discuta di questa legge. Perché lo fanno? Beh, i Cinque Stelle fanno parte organica del partito dei Pm, e i Pm, probabilmente, hanno paura persino che si discuta della separazione, tanto deboli e inesistenti sono i loro argomenti per opporsi. Come fai ad opporti a una legge di attuazione della Costituzione? Come fai a dire pubblicamente: “io voglio che il giudice sia subalterno all’accusa”?
Nel frattempo però la conferenza dei capigruppo della Camera ha fissato l’avvio della discussione in aula sulla proposta di legge per il 27 luglio. E ha chiesto alla commissione affari costituzionali di esaminarla nei tempi giusti. La commissione affari costituzionali, su iniziativa del suo presidente, Giuseppe Brescia, se ne è infischiata del calendario d’aula e non ha messo all’ordine del giorno la proposta di legge di iniziativa popolare. Chi è Giuseppe Brescia? Un Cinque Stelle. I giornalisti parlamentari che conoscono bene queste cose dicono che sia un uomo molto vicino al Presidente della Camera Fico. I Cinque Stelle erano quelli della democrazia diretta, delle leggi popolari, vi ricordate? Francesco Paolo Sisto, deputato di Forza Italia, ha scritto a Fico per chiedere spiegazioni. Aspettiamo…
Mentre si consuma questo ennesimo attacco alla democrazia e al Parlamento, e mentre si lavora per affondare la legge, e insieme alla legge la Costituzione, e per impedire che il sistema giustizia torni a funzionare in un clima di legalità, le forze politiche annunciano, pomposamente, che è pronta la riforma del Csm. Finalmente. La riforma del Csm è molto importante, in tempi di Palamaragate. Perché? Perchè Magistratopoli ci ha dimostrato che il Csm, e quindi il governo della giustizia, è in mano alle correnti nelle quali si radunano, e si dividono, e poi si alleano, i Pm. I giuristi hanno spiegato che questo sistema è del tutto illegale – così illegale che Luca Palamara, accusato di avere fatto una riunione con altri magistrati e politici, ora sarà processato per questo e forse espulso dalla magistratura – e che bisogna trovare un sistema diverso per governare uno dei poteri dello stato. Naturalmente è molto difficile governare il Csm se non si fa la separazione delle carriere. La quale separazione prevederebbe due Csm, uno per i Pm e uno per i giudici. Sottraendo i giudici ai poteri e ai ricatti dell’Anm. E quindi già l’idea di fare una riforma del Csm che non riformi la struttura della giustizia è un po’ insensato.
Uno però potrebbe immaginare che comunque si proceda a una riforma che riduca il potere delle correnti, cioè il potere dei magistrati, e aumenti la componente laica del Csm, portandola in maggioranza. E cioè stabilendo che la magistratura – che finora ha agito al di fuori di ogni controllo come un potere esterno a qualunque regola della democrazia e dello Stato di diritto – torni a dover rispondere al Paese del proprio funzionamento e delle proprie regole. E invece no. La riforma del Csm consiste nel nulla. C’è solo una novità: la parità di genere. Cioè l’aumento del numero delle donne nel Csm. Il che è un’ottima cosa, naturalmente, ma non ha quasi niente a che fare col problema che ha posto magistratopoli: il governo delle camarille. Naturalmente è assolutamente probabile che le donne siano meno affascinate degli uomini dal potere e dalla camarilla. Io penso che sia così. Ma non credo che si possa pensare di ridurre il tasso di illegalità semplicemente aumentando il numero delle donne.
E la cosa che colpisce è che sono i politici, e non i giudici, quelli che stanno mettendo a punto la riforma del Csm. Andrea Giorgis, che è il sottosegretario alla Giustizia – e che sicuramente è una brava persona e sicurissimamente capisce di queste cose più del suo povero ministro – ha dichiarato soddisfatto e trionfante che non sarà una riforma che punisce i magistrati. Hai capito? Uno fa una riforma perchè sappiamo che i magistrati si sono autogovernati in modo un po’ farabutto, e la prima cosa che dice è : giuro che vi lasciamo tutto il potere che volete. O mammamia, dove siamo arrivati: proprio alla resa senza condizioni e con sberleffo.
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