Democrazia strangolata
Il virus ha realizzato il sogno grillino: Parlamento fatto fuori

Mi spiace ma sono costretta a tornarci sopra. Viviamo una sospensione della democrazia per ragioni di necessità e urgenza. Non mi riferisco alla limitazione dei nostri movimenti o alla perdita di diritti legati alla nostra privacy provocati dalla necessità di contrastare il virus. No, mi riferisco a qualcosa di meno percettibile, ma con conseguenze pesanti nel Dopo, e cioè all’esautoramento del Parlamento dalle prerogative costituzionali che gli spettano. Abbiamo già evidenziato su queste colonne quanto l’Italia sia di fatto già commissariata, e non dalla temuta troika europea, bensì dall’incapacità del governo di fare il proprio dovere.
Infatti hanno preso a pullulare comitati tecnici, commissioni e task force dall’aspetto ben più benigno della Merkel, composti da persone sicuramente di grande qualità, che però non sono passate dal vaglio popolare e che ciononostante sono incaricate di assumere decisioni che attengono al governo. Se questo avviene, è perché prima si è proceduto in quattro e quattr’otto a smantellare il Parlamento delle sue funzioni di indirizzo e controllo grazie alla motivazione di imprescindibili ragioni di sicurezza. Non si possono formare assembramenti e certamente il Parlamento italiano nelle sue piene funzioni lo è. Perciò non lo si fa riunire, o, meglio, lo si fa riunire a ranghi ridottissimi.
E così accade che ormai da settimane Montecitorio e Palazzo Madama non fanno altro che vidimare decisioni già prese altrove. Non c’è dibattito sui provvedimenti legislativi di volta in volta assunti, pochissimo margine per emendarli o integrarli, le aule di commissione sono contingentate e riservate a pochi parlamentari e le opposizioni non sono messe in grado di fare il loro lavoro. I palazzi delle istituzioni sono desolatamente vuoti, pronti forse per essere dismessi in quanto quota parte del patrimonio immobiliare pubblico. Non un bello spettacolo.
Ieri l’altro ho presieduto la commissione Trasporti alla Camera. Un accordo fra i gruppi parlamentari ha ridotto a 15 il numero di rappresentanti del popolo che potevano partecipare rispetto ai 45 previsti in condizioni normali. Ne sono arrivati più di 15 e ho dovuto mandarne via alcuni per rispettare le regole. Ma l’ho fatto con un profondo disagio. A che titolo io potevo esercitare la mia funzione di deputata a discapito di altri? E a che titolo, sempre ieri l’altro, sono andata a votare in aula mentre altri colleghi sono stati costretti a restare a casa per consentire a me di votare? Oggi non stiamo garantendo il pieno funzionamento del Parlamento, eppure sulla carta siamo una democrazia parlamentare.
Sono sorpresa che a due mesi dallo scoppio dell’epidemia in Italia, il presidente della Camera Fico, che ho sempre visto molto attento nel rispettare le garanzie costituzionali, non abbia trovato una soluzione per far sì che il Parlamento funzioni come si deve. Andrebbe bene anche il voto elettronico, abbiamo i mezzi tecnici per farlo. Mi viene da sospettare che in fondo a qualcuno le cose così come sono piacciano assai. A chi per esempio, ritiene che la democrazia, quindi i parlamentari, siano solo un costo da abbattere e non una funzione di rappresentanza prevista dalla Costituzione. A chi si fa promotore della democrazia diretta, ottimo strumento per garantire in realtà il potere in mano a pochi. A chi vuol dimostrare che il Parlamento è un inutile oggetto d’antan.
E a chi vuole vincere facile. Certo, governare senza il Parlamento è più agevole, molti meno rompimenti di scatole. In più un Parlamento muto fa risparmiare tempo e denaro. Ma, piccolo dettaglio, non garantisce in alcun modo la volontà popolare. Per gli esegeti della democrazia diretta questo è forse un regalo inatteso, dato che permette di andare addirittura oltre. Si uccide la democrazia liberale e si supera la democrazia diretta per arrivare in un solo balzo alla democrazia dei due o tre. E si risparmia ulteriormente, perché non tocca neanche spendere per costruire la piattaforma digitale necessaria a sostituirsi ai riti rappresentativi.
Così, per necessità e urgenza, ci si abitua al fatto che a decidere siano in pochi, pochissimi e non si sa neanche di preciso chi. Sarebbe meglio rimettere al più presto in ordine questa questione. In remoto o in carne ed ossa, il Parlamento deve poter pienamente funzionare. Non consiglierei mai a questo governo, già alle prese con problemi inimmaginabili, di rendersi anche attore di un recesso democratico. Le responsabilità che dovrà assumersi, quando si tirerà la linea di questa fase storica, sono già troppe.
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