Mentre impazza la discussione sul ricorso al Mes che rischia di mettere sotto commissariamento l’Italia, prendiamo atto che di fatto l’Italia è già commissariata. A decidere del futuro sanitario ed economico di tutti noi ci sono commissioni per ogni palato: c’è il comitato tecnico-scientifico che si occupa di supportare la Protezione Civile su questioni di carattere epidemiologico; c’è il commissario straordinario per l’emergenza Borrelli, che si occupa di coordinare e organizzare il lavoro della Protezione Civile; c’è l’altro commissario straordinario per l’emergenza, Domenico Arcuri, che si occupa dell’approvvigionamento delle forniture sanitarie; c’è la task force tecnologica di 64 esperti voluta dalla Ministra Pisano, e da ultimo c’è Vittorio Colao, chiamato a guidare la task force che si occuperà di immaginare, insieme ad altri, la cosiddetta fase 2, e cioè la ricostruzione economica del Paese. A fronte di tutti queste commissioni e comitati tecnici si evidenzia, e macroscopica, l’assenza della politica.

Sì, perché il coinvolgimento di quest’ultima, da parte del Presidente del Consiglio, è al minimo. La cosa non è strana, essendo Conte espresso da un partito, il M5S, che, considerando l’esercizio della politica solo un costo, si batte per la democrazia diretta e il taglio dei parlamentari. E immaginiamo – ma non siamo certi – che tutti questi esperti e commissari lavorino peraltro a titolo gratuito, a cominciare dalla Task Force fase 2, perché sarebbe assurdo voler abbattere un costo – quello degli eletti dal popolo – per sostituirlo con un altro, quello di figure non elette per fare quello che dovrebbero fare gli eletti, e cioè decidere per il bene comune. Fatto sta che l’avvocato Conte, mai eletto a sua volta, ha perso l’opportunità di coinvolgere nella gestione dell’emergenza uno strumento disponibile e molto valido, oltre che molto politico: le commissioni parlamentari, quelle sì legittimate da libere elezioni.

Decine di parlamentari lavorano in quelle commissioni, sono divisi per competenze e potrebbero benissimo audire gli esperti e svolgere un ruolo chiave nell’aiutare il governo sui provvedimenti da assumere. Invece sono ridotti a vidimatori di decisioni già elaborate nelle segrete stanze. Tutto ciò non vuol dire esautorare il Parlamento, ma umiliarlo sì. Non si capisce infatti perché non potevano essere le commissioni permanenti preposte (dove comunque Pd e 5stelle hanno la maggioranza), o commissioni ad hoc, il luogo in cui raccogliere e trasformare in leggi i consigli di virologi, economisti, medici, esperti e via dicendo. Se il governo intende delegare tutte le scelte rilevanti a tecnici esterni, non legittimati da un voto popolare, a cosa serve il Parlamento, a cosa serve la politica: a ratificare le decisioni prese da terze parti? Oppure, ma spero non sia così, Conte e Zingaretti non reputano i loro presidenti di commissioni parlamentari all’altezza di raccogliere i pareri dei tecnici e decidere sui provvedimenti da adottare?

Chissà perché, ad esempio, il senatore Stefano Collina, presidente della Commissione Sanità al Senato per il Pd, non è stato incaricato di audire tutti gli esperti del caso e svolgere un efficace lavoro sui contenuti, così da consentire al Parlamento di assumersi la corresponsabilità delle scelte indispensabili per fronteggiare l’emergenza sanitaria? Perché non si è chiesto alle Commissioni economiche o di altro tipo di sentire imprenditori, associazioni di categoria, economisti, esperti, per preparare la fase 2? Perché, proprio nel momento in cui il governo è chiamato a definire le scelte più importanti ha preferito esternalizzare questa responsabilità a soggetti non votati da nessuno? E infine: a cosa serve una politica che non sa decidere e che appalta all’esterno scelte così importanti?

Se si vuole pensar male viene il dubbio che chi governa proprio questo voglia: non assumersi la responsabilità politica e giuridica delle proprie scelte ed eventualmente dei propri errori, delegandola a soggetti terzi. È singolare che un movimento giustizialista voglia tenersi al riparo da eventuali risvolti penali. Nessuno, né Conte né Arcuri né Borrelli, vuole fare la fine di Bertolaso che dopo essersi prodigato per il post-terremoto a L’Aquila ha dovuto passare anni nel tritacarne mediatico-giudiziario prima di essere assolto. Nessuno vuole patire quel che hanno patito Berlusconi, per essersi opposto ai diktat della magistratura, o Salvini, che per aver bloccato gli sbarchi sulle nostre coste si è visto recapitare avvisi di garanzia. La paura di questa classe politica verso il sistema giudiziario è tale che un emendamento al decreto Cura Italia firmato dai dem Paola Boldrini e Stefano Collina metteva le mani avanti e prevedeva una limitazione “ai soli casi di dolo e colpa grave” della “responsabilità civile, penale e amministrativa dei titolari di organi di indirizzo o di gestione che abbiano adottato ordinanze, direttive, circolari, atti o provvedimenti la cui attuazione abbia cagionato danni a terzi”. Poi hanno fatto marcia indietro.

Questo conflitto perenne tra politica e giustizia, tra burocrazia e diritti dei cittadini, oltre a dimostrare che in Italia non esiste una vera separazione dei poteri, rallenta un Paese che ora più che mai ha bisogno di andare veloce. Conte e i suoi ministri non possono ragionare con la mentalità dei burocrati che evitano di decidere in autonomia per paura di avere delle grane: in una situazione di emergenza il loro compito non è difendere la propria reputazione ma difendere il Paese. E costruire comitati, commissioni, task force, la cui unica finalità è non assumersi la responsabilità di governo, non dimostra condivisione, ma paura. La storia di questo periodo, comunque vada, non porterà come prima la firma di Borrelli, Arcuri o Colao, porterà la firma del Governo Conte, che nel bene o nel male – speriamo nel bene – dovrà rendere conto di tutte le sue azioni o omissioni.