I Cinque stelle hanno presentato emendamenti per sopprimere la legge di iniziativa popolare che prevede la separazione delle carriere tra Pm e giudici. La legge dovrebbe iniziare il suo iter parlamentare lunedì prossimo. Se passano gli emendamenti, muore prima di nascere. E’ una legge Costituzionale indispensabile per rendere “vivente” l’articolo 111 della Costituzione, quello che definisce il giusto processo e proclama la “terzietà” del giudice. La parola “terzietà” può sembrare un po’ di gergo, ma invece è molto importante e anche abbastanza chiara. Non vuol dire semplicemente imparzialità, vuol dire distinzione netta e visibile tra le parti: accusa, difesa, giudice. Chiunque, ovviamente, può essere imparziale. L’imparzialità è una dote morale, o professionale, ma è difficile da misurare.

La terzietà è un fatto oggettivo. L’articolo 111 della Costituzione dice testualmente: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. Chi ha scritto questo articolo ha voluto sottolineare la differenza tra terzo e imparziale, altrimenti avrebbe scelto uno solo dei due aggettivi. Se all’aggettivo imparziale ha voluto aggiungere l’aggettivo terzo, è perché voleva dire esattamente questo: c’è l’accusa, c’è la difesa e poi c’è il giudice. Che per essere terzo non può avere niente a che fare né con l’accusa né con la difesa. Può un giudice terzo far parte della stessa corporazione della quale fa parte il magistrato che sostiene l’accusa? Può avere il suo ufficio accanto all’ufficio del Pm? Può essere iscritto alla stessa associazione di categoria del Pm? Può rispondere della sua professionalità davanti a un Csm composto in maggioranza di Pm? Può – in sostanza – avere rapporti di parità e spesso, anzi, di subordinazione, verso i Pm? In queste condizioni esiste terzietà? Di più: esiste indipendenza? Nel modo nel quale oggi funzionano le cose il giudice non solo non è terzo ma, assai spesso, non è indipendente.

L’assenza della separazione delle carriere colpisce al cuore l’indipendenza di quel pezzo di magistratura che ad ogni costo deve essere indipendente, e lo è in tutti i paesi democratici: la magistratura giudicante. Mentre in quasi tutti i paesi democratici non è indipendente l’ufficio del Pubblico ministero. La separazione delle carriere non è una proposta di riforma della giustizia come tante altre. E’ un passo necessario a riportare nella legalità, e nel campo del diritto, un sistema Giustizia che attualmente è fuori dal campo del diritto. Tantopiù dopo il Palamara-gate. Giornali, politici e magistrati hanno parlato molto di questo terremoto. Senza però sottolineare bene il cuore della vicenda. Qual è? Abbiamo saputo con certezza come funziona il sistema dei poteri nella magistratura, come avvengono le nomine, come funziona il Csm. Abbiamo saputo delle cene e degli incontri conviviali tra giudici e Pm. Abbiamo capito che il Csm governa non sulla base di giudizi di merito e neppure di giudizi politici ma semplicemente in un’ottica di potere o addirittura di “loggia”. Abbiamo saputo che l’Anm, che è una associazione dominata dai Pm, è il cuore del sistema Giustizia, in spregio alla Costituzione.

E poi abbiamo anche ascoltato il discorso molto severo del Presidente della Repubblica che ha invitato i giovani magistrati a non ispirarsi alla logica corrente, a non cercare il potere e il consenso, ma ad essere fedeli solo alla Costituzione. E ha chiesto al Parlamento e al Governo di intervenire per riformare la giustizia e porre fine alla degenerazione del sistema. Sul nostro giornale, l’altro giorno, un intellettuale autorevole e sapiente come Sabino Cassese, ha detto che le Procure sono diventate un quarto potere, che si sovrappone e sottomette il potere giudiziario. Cioè ha certificato l’illegalità dell’attuale sistema.

Possibile che la politica decida di porsi di fronte a questa emergenza (questa sì che è un’emergenza: un’emergenza vera) aggirando tutti gli scogli e sottomettendosi nuovamente allo strapotere del partito dei Pm? Addirittura giungendo al punto di fare strame di una legge di iniziativa popolare sostenuta da 74 mila cittadini, solo per genuflettersi a Davigo e a Travaglio? Speriamo che non sia possibile. Speriamo in uno scatto di orgoglio, magari anche da parte di qualche 5 Stelle che non abbia le lettere P ed M stampate nel Dna.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.