Un geniale Altan sulla prima pagina di Repubblica ieri mattina raffigurava il grido di dolore di Giorgia Meloni, capelli sciolti e salopette: “So’ disperata non faccio più paura a nessuno”. Nel senso che archiviato il rischio fascismo, chiarito a Bruxelles che “non siamo marziani”, l’effetto magico del governo Meloni era atteso soprattutto sull’economia, sulle misure “urgenti e inderogabili” attese come l’aria per uno che non respira da minuti. Ora qui però mettendo in fila decreto ter, quater e la legge di bilancio, cioè il pacchetto economico cui il governo sta lavorando pancia terra, pare che di magico ci sia molto poco. O meglio, incrociando i testi, gli emendamenti e le intenzioni a cui stanno lavorando palazzo Chigi e i ministeri competenti, troviamo soprattutto quella politica economica “responsabile, realistica e sostenibile” che il ministro Giorgetti ha spiegato in consiglio dei ministri venerdì scorso e lunedì al suo primo Eurogruppo a Bruxelles.

E di quel balletto di miliardi – 10, venti, trenta – che sono stati buttati là come fossero noccioline in quella prima non fortunata conferenza stampa dopo il primo ed assai atteso Cdm economico, alla fine resta qualcosa di molto serio, senza effetti speciali né miracoli: le misure già pensate e realizzate dal governo Draghi. Un problema per chi ha fatto propaganda e ha promesso a famiglie imprese e commercianti che adesso sarebbe finalmente arrivato qualcuno che avrebbe risolto i problemi. Un problema più per Salvini che per Meloni: se la presidente del Consiglio ha iniziato a frenare fin dal discorso per la fiducia disegnando un programma di legislatura, e quindi dai tempi lunghi, e mettendo le mani avanti nell’avvertire che “non tutto potrà essere fatto subito” e che alcune cose “dovranno essere rinviate”, il leader della Lega ha un disperato bisogno di fare subito qualcosa che gli consenta di risalire nei sondaggi entro l’appuntamento elettorale delle regionali che saranno in primavera. Per come stanno andando le cose, è chiaro che il gradimento non potrà salire sulla base di misure pasticciate, sbagliate e dannose come il decreto contro i rave-party e il blocco delle ong.

Un po’ di ordine nei numeri e nelle misure. Domani la Camera voterà in aula il decreto Aiuti Ter, quello approvato dal governo Draghi a settembre, 13,6 miliardi di aiuti per famiglie ed imprese che portano a 66 miliardi il totale delle misure dall’inizio dell’anno quando è iniziata la crisi. La Commissione speciale (il sostituto di quelle ufficiali che prenderanno forma tra oggi e domani) presieduta dall’azzurro Roberto Pella ha dato il via libera ieri mattina al decreto Ter con l’astensione delle opposizioni e alcuni correttivi parlamentari: la possibilità di installare pannelli solari sugli uffici giudiziari e la possibilità per i dipendenti pubblici di poter presentare l’autocertificazione per il bonus di 150 euro (quello che le destre, prima del voto, definivano “un’offensiva mancetta”) nel caso in cui le retribuzioni siano gestite dal servizio informatico del Mef. Un primo stop riguarda il capitolo trivelle. Anche qui si tratta di una misura studiata dall’ex ministro Cingolani e che la premier ha dato per fatta alla fine del Consiglio dei ministri economico della scorsa settimana. In realtà l’emendamento doveva essere inglobato nel decreto Ter per fare prima e fare presto ad estrarre quei due miliardi di mc di gas in più dai “nostri” pozzi nel mar Adriatico che negli ultimi hanno ridotto anno dopo anno l’estrazione del gas.

“Il 75% di quel gas italiano che andremo ad estrarre sarà destinato alle aziende energivore e avrà un prezzo fisso tra 70 e 100 euro” spiegò Meloni. Una misura non in linea con la transizione ecologica (progressiva dismissione delle fonti fossili) ma necessaria. Su cui però il governo ha preferito non forzare la mano. Tutto rinviato. Al decreto Aiuti 4 che a questo punto avrà però una vita autonoma. La cosa più logica sarebbe stata fare un emendamento al Ter in votazione in queste ore per non perdere altro tempo. Il governo dovrebbe approvarlo tra giovedì e venerdì e in questo testo ci sarà la norma specifica per aumentare l’estrazione di gas. Il decreto Aiuti 4 avrà una dote di 9,1 miliardi. Anche questi lasciati in eredità da Draghi grazie alle maggiori entrate e alla crescita del pil nel terzo trimestre pari a 0,6%. A parte le trivelle, non ci dovrebbero essere grosse novità sulle misure: avanti con bonus sociale da 150 euro, gli sconti in bolletta per le famiglie meno agiate, taglio delle accise della benzina, sgravi fiscali per le imprese. Si tratta di proroghe fino alla fine dell’anno di misure attive da marzo. Nulla di nuovo, totale continuità.

La discontinuità vera Salvini la aspetta nella legge di bilancio. Il leader della Lega ha già fatto conoscere le sue intenzioni: modifica delle pensioni con l’introduzione di Quota 32; flat tax del 15% “almeno per le partite Iva alzando il tetto da 65 mila a 85 mila euro”; correzioni importanti al reddito di cittadinanza per recuperare almeno un miliardo, rottamazione delle cartelle fiscali. I suoi cavalli di battaglia. Quelli per cui ha chiesto il voto. Il cantiere della manovra possiamo dire essere iniziato ancora prima del giuramento del governo. Sul tavolo ci sono 30 miliardi, venti a deficit e gli altri dieci da trovare. Sapendo che le previsioni per il 2023 sono grigie con rischio recessione e margini di crescita dello zero e virgola. Il punto è come trovare quei dieci miliardi avendo, come promette Giorgetti, un approccio “realistico, responsabile e sostenibile”. Ha detto anche di più il ministro dell’Economia e delle Finanze proprio approvando la Nadef la scorsa settimana: “Qualunque tipo di intervento di natura fiscale o di spesa di natura previdenziale deve essere coperto all’interno dello stesso settore d’intervento altrimenti non potremo rispettare l’obiettivo dichiarato di mettere tutte le risorse disponibili sul caro energia”.

Detto in altre parole: poiché Meloni ha assicurato che 20 miliardi (presi a deficit su un totale di 30 che sarà il valore della manovra) saranno destinati a famiglie ed imprese contro il caro energia, nei dieci miliardi che restano – e ancora da trovare – non c’è posto per flat tax o Quota 41. Quei 10 miliardi serviranno per le altre spese indifferibili, dal taglio del cuneo fiscale (confermando almeno quanto fatto da Draghi, cioè il taglio del 2% per redditi fino a 35 mila euro) al finanziamento del reddito e dei vari bonus edilizi che, per quanto corretti (il 110% diventerà del 90% e, nel reddito, dopo una sola offerta rifiutata si perderà il diritto all’assegno) è difficile possano essere immaginati per altre “promesse”. Ora il punto è chi spiegherà tutto questo a Salvini. Già ieri in Transatlantico – quanto è “vuoto” il Parlamento dopo il taglio dei parlamentari – si percepivano tensioni e malumori. In parte dovuti alla partita sulla Presidenza delle Commissioni dove Fratelli d’Italia vorrebbe fare il cappotto o quasi e Lega e Forza Italia non sono affatto contente. In parte perché dalle parti della Lega si annusano fregatura in arrivo. E proprio sulla manovra. “Dov’è la discontinuità” osservava ieri un big della Lega. Un po’ la stessa domanda che negli stessi minuti faceva Giuseppe Conte nella sua conferenza stampa.

Meloni tira dritto. Oggi pomeriggio ci sarà il suo primo incontro con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri. Caro-bollette, sostegno ai redditi con il recupero del potere d’acquisto eroso dall’inflazione ormai a doppia cifra, interventi sulle pensioni per una maggiore flessibilità in uscita e sul fisco, ma anche lotta alla precarietà ed una politica industriale strategica: il menu è quello di sempre. Venerdì sarà la volta delle associazioni delle imprese (22 le sigle convocate). Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, rilancia la richiesta del taglio del cuneo fiscale con un intervento “choc” da 16 miliardi, “due terzi ai dipendenti e un terzo alle imprese. Significa mettere 1.200 euro in tasca in più ai lavoratori”. Ieri pomeriggio la premier ha riunito per la prima volta la cabina di regia sul Pnrr che avrà come referente il ministro Raffaele Fitto. Ieri è arrivata la rata da 21 miliardi. Può darsi che vedere l’assegna abbia aiutato a metter da parte strane idee. “L’obiettivo espresso da tutti – si legge in una nota serale della premier – è quello di rispettare i tempi previsti ed utilizzare al meglio tutte le risorse”. In continuità con quanto fatto finora

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.