L’Europa sembra favorire la nascita del governo Meloni ma non lo aiuta sui dossier più difficili, a cominciare da quello sull’energia e sui modi per combattere la crisi economica che ne deriva. I vertici della Commissione e del Parlamento e del Partito popolare europeo, di cui fanno parte Forza Italia e Ursula von der Leyen e Roberta Metsola, cercando di andare oltre rispetto alle esternazioni filoputiane di Silvio Berlusconi e si affidano ad Antonio Tajani, “la scelta migliore per guidare il ministero degli Esteri nel nuovo governo italiano in nome dei valori europeisti ed atlantisti”.

Parole rassicuranti arrivano anche, e sono le più ascoltate, dal premier uscente Mario Draghi. Al tempo stesso però dal Consiglio europeo non arriva la tanto attesa svolta per bloccare la speculazione del prezzo del gas. La questione energetica intrecciata a quella economica è il primo punto all’ordine del giorno del Consiglio europeo. Ma, almeno fino a notte fonda e con la speranza che qualcosa possa cambiare stamani, poco o nulla del pacchetto di proposte che erano uscite dal vertice informale di Praga quindici giorni fa e ribadite da Ursula von der Leyen due giorni fa al Parlamento europeo, ha preso sostanza. Si lavora ancora. Ma non sono certo le proposte tecniche che mancano.

Serve la volontà politica dei 27 che invece registra ancora la contrarietà dei soliti noti: Germania, Olanda, ma anche Austria. Due, tre paesi contro la netta maggioranza di chi invece vorrebbe subito un tetto la prezzo del gas e un fondo europeo con cui finanziare la crisi di famiglie e imprese messe in ginocchio da bollette del gas e dell’energia insostenibili. Gli ultimi dati dicono che sono 5 milioni gli italiani che non le hanno pagate. Un numero molto simile, troppo, alla percentuali di poveri assoluti nel nostro paese. Era e resta questo il primo vero problema del governo Meloni.

Operazione Tajani
Occhi e orecchie della quasi-premier Giorgia Meloni sono sintonizzate in queste ore più su Bruxelles che sulle consultazioni. Lo strappo con Berlusconi non è più solo personale ma riguarda la linea politica del governo che verrà. La Presidente di Fratelli d’Italia è arrivata, l’altra sera, a mettere in dubbio la nascita del governo, se qualcuno avesse dei dubbi circa la linea in politica estera, “europeista, filoatlantica e contro Putin”.

Ago e filo per ricucire in qualche modo questo strappo dovevano passare da Bruxelles, dalla riunione del Consiglio e dal tradizionale pre summit del Partito popolare europeo a margine del Consiglio Ue. Tra le 12 e le 13 quando i vari membri hanno raggiunto la Biblioteca Solvay nel bellissimo parco alle spalle dell’Europa building, c’era molto imbarazzo. I giornalisti, anche stranieri, hanno tutti posto la questione Italia, Berlusconi, Ucraina con l’aggravante del numero 2 di Forza Italia, Antonio Tajani, candidato a fare il ministro degli Esteri.

Il più duro è stato il vice primo ministro irlandese Leo Varadkar: “Sarò onesto, quanto è venuto fuori è un grande problema. Ci sono tre standard di base che si applicano a tutti i partiti che fanno parte del Partito popolare europeo (Ppe): bisogna essere pro europei, per l’integrazione europea, rispettare lo Stato di diritto, e sostenere l’Ucraina nella sua lotta per la sua sopravvivenza e la sua esistenza e sovranità. Non sono sicuro che si possano avere nel Ppe persone che non abbracciano questi principi centrali e di base”. Gli altri, a cominciare da Max Weber fino a Roberta Metsola passando per Ursula von der Leyen, hanno preferito rinviare a dopo il summit “Antonio Tajani è qui oggi, per spiegarci”.

Per spiegare le parole di Berlusconi e dare garanzia sulla affidabilità sua come ministro degli Esteri e di tutto il governo dove già si sono allungate da tempo ombre per quello che riguarda le posizioni della Lega. Giusto in questi giorni il neo eletto presidente della Camera Lorenzo Fontana ha dubitato sull’efficacia delle sanzioni. Parole che spaventano l’Europa e questo Consiglio che dopo l’energia ha all’ordine del giorno l’Ucraina, gli aiuti militari e le sanzioni anche all’Iran per violazione dei diritti umani. Lo stesso Tajani del resto è arrivato apposta a Bruxelles, pur nel bailamme della politica nazionale, per chiarire, spiegare e ribadire.

L’Europa si dice “rassicurata”
È riuscito a farlo se due ore dopo Max Weber ha lasciato il presummit del Ppe dicendo convinto che “Tajani come ministro degli esteri sarebbe per noi il simbolo della continuità del nuovo governo italiano e del suo posizionamento europeista”. E se la presidente Metsola ha aggiunto: “Ho parlato dal primo giorno e senza fare speculazioni su quale potenziale governo potesse formarsi con Giorgia Meloni. L’ho fatto con Letta, Draghi, Tajani e posso dirvi che sono stata sempre rassicurata. L’Italia deve rimanere al centro della Ue”.

Presto per dire se l’incidente Ucraina-Putin-Zelensky sia chiuso e se di incidente si sia trattato. Berlusconi c’è tornato sopra con interviste, dichiarazioni e messaggi via social in cui ha denunciato di essere stato vittima di una trappola. Sarà il Cavaliere a guidare la delegazione di Forza Italia oggi alle consultazioni al Quirinale. Sarà questa la prima occasione per misurare il gelo tra l’anziano leader la giovane quasi premier che gli ha sottratto, con la forza dei numeri, le chiavi di casa del centrodestra che lui mai avrebbe voluto cedere. “A causa delle consultazioni non ho potuto partecipare al presummit del Ppe a Bruxelles. Ho così delegato – ha voluto precisare il Cavaliere in un post su Facebook sempre molto attento a ribadire la sua centralità – il vicepresidente Tajani per rappresentare e ribadire la posizione mia personale e di tutta Forza Italia che è di piena e totale adesione ai valori europeisti ed atlantisti”.

L’appello di Draghi
Una mano a ripulire l’immagine dell’Italia che sarà col nuovo governo arriva, come sempre e soprattutto, da Mario Draghi. Prima di chiudersi nella “bolla” dell’Europa building – dalle 15 fino al lungo dopo cena – il premier ha incontrato la delegazione diplomatica italiana a Bruxelles e alla Nato. Parlando agli ambasciatori Benassi, Talò e Genuardi ha voluto ribadire e chiarire un paio di concetti sull’Italia. Volendo farsi ascoltare dai partner esteri e, anche, dalla nuova maggioranza che gli succederà alla guida del Paese.

“L’appartenenza all’Unione Europea e alla Nato sono capisaldi della nostra politica estera” ha scandito il premier aggiungendo che l’Italia deve essere “protagonista” all’interno delle alleanze, sfruttando la “credibilità che abbiamo acquisito in questi anni” che è “lo strumento migliore per ottenere i risultati a cui aspiriamo”. E che, è il sottinteso, non può essere messa a rischio.

La rabbia del premier
Difficile sapere se i membri del Consiglio europeo abbiano chiesto a Draghi qualche delucidazione su quanto sta accadendo in Italia. Quello che trapela, in serata, è che Draghi ha alzato la voce quando ha capito che anche questo ennesimo vertice, il suo ultimo, rischia di concludersi con poco o nulla di fatto sul fronte dell’energia. Una delegazione, il Belgio, avrebbe addirittura proposto di “rinviare a novembre”. Ha ricevuto da tutti un solenne no.

Draghi ha ricordato e sottolineato “l’urgenza di adottare misure che incidano sulla dinamica dei prezzi”, misure come l’introduzione del price cap e la riforma del mercato elettrico (tutte cose che von der Leyen si era impegnata a realizzare) non possono più aspettare. “Attenzione – ha detto Draghi – il rischio è quello di una frammentazione del mercato che può avere riflessi negativi sull’unità europea se i Paesi che hanno maggior spazio fiscale operano in autonomia”. Non intervenire subito sull’energia metterebbe a rischio l’unità europea.

Lo scalpo preferito di Putin.
Preoccupano le ricadute sui prezzi, cioè l’inflazione sempre più insostenibile specie per le fasce più deboli della popolazione. “Siamo in recessione” avrebbe gridato il premier. “Gli Stati membri devono avere una capacità di spesa comune per difendere level playing field. Non è una questione di solidarietà ma di salvaguardia del mercato interno”. In questo senso è urgente “un fondo comune considerevole e utilizzabile non solo per gli investimenti ma anche per mitigare i prezzi”. Draghi vuole concludere il mandato portando a casa il risultato di una battaglia che dura da marzo, da quando per la prima volta chiese il tetto ai prezzi del gas. Un risultato che aiuterebbe molto il governo Meloni ad affrontare le prime settimane a palazzo Chigi. Restano una notte e un giorno per sperare.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.