Dopo la continuità sulla battaglia per abbassare i prezzi del gas, delle bollette in genere, Mario Draghi sembra voler assicurare analoga continuità con il suo successore anche nella gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Siamo pienamente soddisfatti dei risultati raggiunti e che hanno garantito all’Italia l’erogazione di 69,9 miliardi” ha detto ieri il premier prima a governatori e sindaci riuniti nella cabina di regia e poi ai ministri nel Consiglio dei ministri.

La relazione sullo stato di avanzamento del Pnrr ha tutta l’aria di essere l’ultimo atto ufficiale del governo uscente. Ci sarà un altro Cdm lunedì e poi la parola passerà al nuovo Parlamento che si riunirà giovedì mattina (il 13 alle 10). Ma è proprio sul Pnrr che ieri Giorgia Meloni ha attaccato il governo accusandolo di “ritardi e mancanze”. Quasi a voler creare il presupposto per un’altra battaglia promessa: cambiare il Piano e usare quei soldi per tenere a bada il caro energia. Forse Meloni non sa che mentre lei attaccava il Pnrr e la sua gestione, il governatore del Friuli Venezia Giulia e presidente della conferenza Stato-Regioni Massimiliano Fedriga (Lega) ringraziava Draghi e il governo “per l’efficienza nella gestione del Piano con gli enti locali”. E neppure sa che il sindaco di Bari Antonio De Caro, numero 1 dei sindaci italiani, dava conto del fatto che “37 dei 40 miliardi previsti sono già arrivati nelle casse dei comuni”. Nessun ritardo, quindi. Nessuna inefficienza.

“Se ce ne fossero – ha chiosato il premier – la Commissione non verserebbe i soldi”. Il Pnrr, ha aggiunto, “è del Paese e non dei governi”, rappresenta “una straordinaria opportunità per sostenere l’economia in un momento di rallentamento, per rilanciare il Paese dopo due decenni di crescita lenta e diseguale; per dimostrare ai cittadini e ai nostri partner europei che l’Italia sa investire bene e con onestà”. Il Pnrr è “l’occasione unica per il rilancio del paese, il superamento delle disuguaglianze territoriali, di genere e generazionali che gravano sull’Italia”. Più che un “testamento” politico, è stata la blindatura totale del Piano. Chi non lo porterà avanti, ne sarà responsabile.

Il “governo” Meloni nascerà a questo punto non prima del 22 ottobre. Un timing voluto e concordato anche con i vincitori del 25 settembre per consentire al premier uscente di “concludere” con buoni risultati la lunga battaglia sul dossier energia nel Consiglio Ue del 20-21 ottobre. Una battaglia che il governo Draghi ha iniziato a ottobre 2021 quando i prezzi cominciarono a correre. Tra Praga (oggi e domani) e Bruxelles la settimana dopo, c’è ottimismo circa l’adozione di misure europee, quindi collettive e comuni ai 27, per fronteggiare la speculazione sul settore. La lettera della presidente Ursula von der Leyen ai leader Ue parla esplicitamente di un “tetto temporaneo sul prezzo del metano per la produzione di energia elettrica”, di un cap da “negoziare direttamente con i fornitori con un minimo e un massimo di oscillazione” che nei fatti è un modo per tutelare il mercato. Non solo, von der Leyen cancella nei fatti lo strapotere del Ttf della borsa di Amsterdam e scrive di “non considerare più rappresentativo questo indice”. Insomma, tra le delegazioni che stanno preparando i due vertici si respira “alla vigilia e per la prima volta un cauto ottimismo”.

Il ministro Cingolani ha spiegato tutto martedì pomeriggio nelle due ore di colloquio con Giorgia Meloni. Che ha ascoltato, condiviso e posto subito un’altra questione: “Queste misure potranno avere effetti su famiglie ed imprese tra circa tre mesi. Serve quindi qualcosa da poter fare subito”. Il cammino comunque è segnato e la continuità con il governo e l’agenda Draghi anche. Nella maggioranza c’è già chi tema e sospetta un eccesso di draghismo da parte della quasi-premier. Anche l’opzione tecnici nella squadra di governo è stata letta in questo senso. “Noi che abbiamo vinto in maniera molto netta cerchiamo solo di mettere a disposizione le energie migliori per dare al paese le soluzioni migliori in un momento così difficile” ha spiegato la leader che ieri ha riunito per tre ore lo stato maggiore del partito nella sede di via della Scrofa.

Altro che “draghismo”. E ha colto l’occasione del Pnrr per attaccare Draghi. È la prima volta dal 25 settembre: da allora non una parola di critiche si è alzata contro Draghi, l’Europa, il Pnrr o altri cavalli di battaglia di diciotto mesi di opposizione e della campagna elettorale. “Il nostro – ha promesso Meloni nella riunione del Direttivo del partito – sarà un governo politico, forte e coeso, porterà avanti politiche in discontinuità rispetto a quelle messe in piedi in questi anni dagli esecutivi a trazione Pd”. Una precisazione che non smentisce affatto, perché non può, la continuità nei fatti con l’esecutivo Draghi.

In ogni caso, se veramente Meloni intende mettere mano sul Pnrr, lo si vedrà subito. Dei 55 obiettivi del secondo semestre 2022 (dal cui raggiungimento dipende una tranche da 24 miliardi) il governo uscente promette di consegnarne agli entranti 29. I restanti obiettivi saranno in carico al nuovo governo. La struttura tecnica – un ufficio presso ogni ministero – continuerà a lavorare e potrà farlo in assoluta continuità. C’è un metodo acquisito. Sempre che qualcuno non intenda cambiarlo. Per mettere mano sui soldi del Piano.

A chi obietta che il Pnrr è “figlio della pandemia sanitaria ma non sa dare risposte alla pandemia energetica”, Draghi ha sottoposto un’altra evidenza: nelle ultime 48 ore i ministri economici della Ue hanno approvato il regolamento di utilizzo del Repower Ue, un nuovo capitolo del Pnrr, 300 miliardi da distribuire ai paesi per assicurare autonomia energetica dalla Russia. Usare bene quei soldi “è la sfida dei prossimi mesi” ha detto Draghi. La sfida del governo Meloni.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.