Prende corpo il paradosso per cui colei che non ha mai votato la fiducia al governo Draghi (tranne che per la missione Nato in Ucraina), ne assuma alla fine la famosa “agenda”. Insomma, che Giorgia Meloni porti avanti proprio il testimone di Mario Draghi. Almeno in questa prima fase perché l’emergenza economica è tale da non lasciare spazio alla discontinuità politica pure promessa in campagna elettorale. Giorgia Meloni, la vincitrice e premier designata, è scomparsa dai radar.

«Questione di stile», si fa notare ai piani alti di Fratelli d’Italia: «Per rispetto del Capo dello Stato e delle regole costituzionali che dettano un iter assai preciso per l’incarico e la formazione del governo, non possiamo certo metterci a fare conferenze stampa dove la costringerebbero a parlare e a rispondere in quanto premier». Osservazione corretta. L’immersione di Giorgia Meloni è quindi una scelta prima di tutto istituzionale. Poi di contenuti: tra le poche parole pronunciate nella notte della vittoria ha sottolineato la necessità di essere “seri e responsabili”. Basta propaganda, insomma. Perché adesso si fa sul serio, “dobbiamo governare”. Così la leader di Fratelli d’Italia è stata avvistata in via della Scrofa. Attenzionati anche i movimenti della sua Mini in entrata e in uscita dal quartier generale del partito. «Studia vecchi dossier, apre nuovi dossier, incontra persone», è il massimo che filtra dallo staff.

Tra i contatti ci sono certamente quelli con Palazzo Chigi, il Mef e la ragioneria dello Stato. Tra i dossier ci sono la legge di bilancio, che dovrebbe essere presentata a Bruxelles entro metà ottobre ma è già stata accordata una data di consegna più larga (primi di novembre); il decreto aiuti Ter (14 miliardi, l’ultimo firmato Draghi, in Gazzetta dal 19 settembre) che sarà convertito dal nuovo Parlamento e su cui il nuovo esecutivo dovrebbe lasciare la firma magari modificando qualche intervento a saldi invariati; un altro pacchetto di aiuti contro il caro bollette perché le misure scadono a fine novembre. E non è pensabile affrontare dicembre senza queste ciambelle di salvataggio. Dulcis in fundo, la legge di bilancio che il nuovo Parlamento dovrà approvare entro il 31 dicembre.

Il primo boccone amarissimo da masticare arriva proprio da questo piatto: da primi contatti con il Mef viene fuori, in via del tutto informale, che solo per fronteggiare inflazione, crisi energetica e le misure base il nuovo governo parte da un budget di 40 miliardi tra sostegno fiscale per gli acquisti di energia delle imprese, azzeramento oneri di sistema nelle bollette, sconto benzina, adeguamento pensioni, taglio del cuneo fiscale, rinnovo contrattuale del pubblico impiego più altri soldi per le misure indifferibili come le missioni militari. Difficilissimi da recuperare. Una doccia gelata. Non così inattesa. Ma che giustifica in buona parte il silenzio post voto della leader di Fratelli d’Italia. Nasce da qui l’auspicio che Guido Crosetto, fidato consigliere di Meloni, fondatore di Fratelli d’Italia, in pole position per il ruolo di Sottosegretario alla Presidenza, ha consegnato ieri in un paio di interviste: «Potrebbe essere una finanziaria a quattro mani tra vecchio e nuovo governo».

Domani ci sarà il consiglio dei ministri che dovrà approvare la Nadef. In ritardo di due giorni – la scadenza è il 27 settembre – proprio per dare modo a Meloni di prendere confidenza con i numeri visti dall’interno. Il Documento fotografa la situazione a politiche invariate, ovvero conterrà solo le stime del quadro tendenziale. A comporre poi il quadro programmatico, cioè la legge di bilancio, dovrà essere il nuovo esecutivo che a occhio e croce, pressato dalle scadenze, dovrebbe poter giurare entro la fine di ottobre. I numeri consegnati, sempre ufficiosamente, alla leader di Fratelli d’Italia e ai suoi consiglieri più stretti (Crosetto, La Russa, Fazzolari) non sono così disastrosi come è stato più volte detto negli ultimi mesi. Il Pil 2022 è stimato al rialzo (dal 3,1% al 3,3%). Nel 2023 la crescita sarà però dimezzata (dal 2,4% stimato al +0,7%-+0,8%), comunque sempre meglio degli scenari foschi dipinti in questi giorni da alcune agenzie di rating che hanno il segno meno. Aumenta di conseguenza anche il deficit che sale a +5% rispetto al 3,9% stimato ad aprile. Una revisione in senso negativo che dovrebbe rosicchiare spazi di manovra per circa 20 miliardi.

I quaderni di Giorgia Meloni stanno aumentando. E sono pieni di sottolineature. Difficile trovare la quadra in questi numeri. A meno di non seguire la tanto vituperata agenda Draghi. E di sperare che Bruxelles, su cui continua il pressing del premier in carica, metta il tetto al prezzo del gas e proceda al disaccoppiamento o al taglio degli extraprofitti delle aziende. Sempre Crosetto propone di recuperare miliardi non spesi dai Fondi europei per la programmazione 2014-2020. Ma le regole europee non sono così flessibili: quei soldi sono destinati e finalizzati e non possono essere stornati a piacimento. Tutto molto complicato. Ma si sapeva. Come del resto la squadra di governo. Anche su questo massimo riserbo per correttezza con il Quirinale. È l’altro quaderno/dossier aperto da Meloni.

La casella iniziale, quella del Mef, continua a restare vuota. L’ipotesi Panetta perde peso – preferirebbe la guida di Bankitalia e non amerebbe servire un governo politico -, quella di una conferma a Franco anche per motivi molto simili: preservare la terzietà del tecnico di Stato. È stato un onore servire Draghi e Mattarella. Non può esser previsto nulla di diverso. Si affaccia in queste ore il nome di Domenico Siniscalco già in via XX Settembre, come indipendente, nel 2004 ai tempi del governo Berlusconi. È fondamentale in queste ore assicurare questa casella. Su tutto il resto, sempre Crosetto dice che nella scelta della squadra «non ci sarà posto né per il manuale Cencelli né per le bandierine».

Messaggio chiaro per chi tra Lega e Forza Italia ha già puntato alcuni ministeri. Entrambi gli alleati avranno la presidenza delle Camere e qualche profilo più tecnico, ad esempio Giorgetti al Mise per continuare il lavoro iniziato e Tajani alla Farnesina per rassicurare Bruxelles sulla linea europeista. Salvini può scordare il Viminale e anche per la Giustizia, dove vorrebbe Giulia Bongiorno, la strada è molto stretta: come si può pensare di affidare il ministero all’avvocato che lo assiste nel processo Open arms? Un ministero per ciascuno a Lega e Forza Italia. Questo sembra il criterio. Gli accordi pre elettorali parlavano di 2/3 ministeri di peso per ogni partito. Gli alleati sono l’altro “quaderno” difficile di Giorgia Meloni. Salvini, ad esempio, ieri sera ha annunciato che nel primo cdm sarà approvata la legge sulle autonomie.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.