Con il reddito di cittadinanza, in Italia, si passa dall’ estremismo dei 5 Stelle a quello della Meloni: dal provvedimento artefice dei successi elettorali del Movimento, ci si avvia ai tagli drastici, se non addirittura all’eliminazione, da parte del Governo in carica. Il tutto senza preoccuparsi delle tensioni sociali che una decisione del genere potrebbe portare. In Italia il reddito di cittadinanza ha dimostrato non poche falle, storture e inadeguatezze ma una forma di reddito, con nomi diversi ovviamente, esiste in tutta, o quasi, Europa.

In Germania, uno dei primi paesi a introdurre una forma di tutela per chi fosse senza lavoro, questo strumento, il  Bürgergeld, dopo l’ok del Senato federale tedesco, sarà, a partire dal prossimo anno, potenziato. Il governo Meloni invece lo rivede e si prepara ad abolirlo del tutto dal 2024, per poi sostituirlo con una misura nuova destinata a esclusivamente a fragili e over 60.  In Germania invece la misura vede un allargamento della platea che si avvicinerà quasi ai 5 milioni di persone.

A differenza del sistema precedente, il nuovo modello di sussidio punta a favorire la ricerca di un’occupazione a lungo termine. E chi guadagna tra i 520 ed i 1000 euro ha il 30% esentato da imposte (e non solo il 20% come nel sistema precedente). Il vero cuore della riforma tedesca partirà in una fase successiva. Dal 1 luglio infatti gli uffici di collocamento dovranno offrire sempre un’assistenza mirata ai disoccupati di lunga durata, indicando loro percorsi di formazione per avvicinarli al mondo del lavoro, e farlo impiegare stabilmente. Con l’obiettivo appunto di evitare che persone già fragili passino da un’occupazione a tempo all’altra, in un’ottica di perenne precarietà.

La maggior parte degli stati Ue hanno, seppure in maniera diversa, introdotto misure di sostegno alle famiglie indigenti. A maggior ragione in un periodo di difficoltà come questo. Insieme alla Grecia, l’Italia è stata l’ultima a introdurre questo genere di misure. In alcuni stati come Svezia, Slovacchia e, recentemente, Spagna, il sistema è centralizzato a livello nazionale, mentre in altri tra cui Austria e Paesi Bassi è gestito localmente. Ancora non esiste una normativa europea sul reddito minimo garantito. Dopo quello della Germania vediamo gli esempi di Spagna e Francia.

In Spagna il governo socialista di Pedro Sánchez ha introdotto nel 2020 l’Ingreso Minimo Vital (IMF), una misura di welfare per garantire a disoccupati e famiglie in difficoltà un assegno che va da un minimo di 462 a un massimo di 1.015 euro al mese. L’importo dell’IMV varia a seconda della dimensione del nucleo familiare, viene erogato in 12 mensilità ed è cumulabile con altri tipi di prestazioni sociali. Il fine ultimo della misura è soprattutto il contrasto alla povertà. E, proprio per questo, la misura prevede requisiti meno stringenti rispetto ad altri Paesi e può essere richiesto anche dagli stranieri che si trovano da almeno un anno in Spagna. Per quanto riguarda la parte di politiche attive del lavoro, il governo spagnolo ha varato un meccanismo detto sello social (timbro sociale), che prevede sgravi fiscali alle imprese che assumono i beneficiari del sussidio.

In Francia, chi ha più di 25 anni ed è disoccupato può richiedere il Revenu de solidarité. Il sussidio è stato introdotto nel 2008 e prevede un supporto economico che va da circa 500 euro – in caso di mono nucleo familiare – a circa 1.000 euro per le coppie con figli. La misura non ha nessun limite temporale ma consente di rifiutare al massimo un’offerta di lavoro. Se il percettore del sussidio rifiuta anche la seconda, il beneficio decade. La misura può essere richiesta anche per integrare i redditi dei lavoratori sotto la soglia fissata annualmente per raggiungere il reddito minimo. Per incentivare chi beneficia del Rsa a rientrare nel mercato del lavoro, il governo francese ha varato anche il Prime activité, una sorta di integrazione dello stipendio che può essere richiesta da chiunque guadagni meno di 1.800 euro (una volta e mezzo il salario minimo legale).