Lo scorso 29 luglio il Comune di Partinico – paese di trentamila abitanti a trenta chilometri da Palermo – per la prima volta nella sua storia è stato sciolto per mafia. Nella relazione firmata dall’ex prefetto del capoluogo siciliano, Antonella De Miro, si legge che «possano sussistere elementi concreti, univoci e rilevanti tali da far ritenere un possibile collegamento tra l’amministrazione comunale e Cosa nostra».

Ma quali sono questi elementi? Il provvedimento si basa su quattro punti: l’indagine a carico del consigliere comunale Vito Alessio Di Trapani, imputato per associazione a delinquere nel procedimento penale – ancora in fase dibattimentale – seguito all’operazione antimafia Game Over; la cattiva gestione dei servizi sociali, in particolare relativa alle forniture alla casa di riposo “Canonico Cataldo” che sarebbero state affidate sempre alle stesse ditte, senza gara d’appalto e senza aver accertato i requisiti antimafia; la “mala gestio” del servizio di raccolta dei rifiuti che «ha finito per favorire ditte a vario titolo riconducibili alla criminalità mafiosa»; infine, ad aver giocato un ruolo importante per lo scioglimento, sarebbero state le «relazioni amicali e parentali» dei dipendenti e dei consiglieri comunali con soggetti con un passato nell’organizzazione mafiosa che hanno però saldato, negli anni, i propri debiti con la giustizia o che, in alcuni casi, hanno cambiato completamente vita. Fatti di trent’anni fa rispolverati per l’occasione.

Si parla, persino, di «dipendenti comunali i cui congiunti sono gravati da precedenti penali». Come se essere parente di chi ha commesso reati sia, automaticamente, un indice di colpevolezza. Basta leggere con attenzione le 235 pagine della relazione prefettizia per rendersi conto che di mafia, in realtà, c’è ben poco. E le motivazioni dello scioglimento appaiono basarsi più su sospetti piuttosto che su dati di fatto.  Ma andiamo con ordine. Dei consiglieri comunali solo Di Trapani è stato rinviato a giudizio. È imputato per associazione a delinquere – è esclusa l’aggravante mafiosa – davanti la corte del tribunale di Palermo. Il processo è ancora in corso ma su Di Trapani la sentenza sembra già essere stata pronunciata. Sugli altri membri del consiglio comunale e sugli assessori non c’è neppure un’indagine.

Nessuna ombra. Per quanto riguarda la “cattiva gestione” dei servizi sociali, stando alla relazione prefettizia, lo scioglimento per mafia sarebbe motivato dalla mancata verifica da parte degli amministratori dei requisiti antimafia delle ditte fornitrici, dalle ripetute bocciature in consiglio comunale delle proposte – da parte dell’ex sindaco Maurizio De Luca, dimessosi a maggio 2019 – di affidare a privati il servizio per fronteggiare la profonda crisi finanziaria delle casse comunali e quindi di avere favorito la gestione interna a ditte “a disposizione della mafia” vicine ad alcuni consiglieri comunali. Relazioni e complicità solo eventuali e non dimostrate. Più complicata la situazione relativa al servizio di raccolta dei rifiuti, nella quale, però, sembra emerga piuttosto l’incapacità gestionale dell’amministrazione che una vera e propria vicinanza ai clan locali. Il riferimento, tra gli altri, è alla ditta Cogesi che ha ricevuto, nel dicembre 2019, un’interdittiva antimafia e alla quale sarebbero stati affidati i servizi di raccolta, ben prima però della misura preventiva adottata dalla prefettura.

Perché, dunque, questo scioglimento per mafia? «Dalla relazione non emerge nulla di criminogeno. L’apparato consiliare sicuramente ha commesso molti errori. Ci sono state dimenticanze e gravi omissioni. Ma sono azioni dovute all’incapacità gestionale. Sciogliere Partinico per infiltrazioni mafiose è stata una minchiata col botto. Non c’è alcun procedimento penale che riguardi i consiglieri comunali. Nessuno è indagato per mafia eppure il Comune è stato sciolto», dice Salvo Vitale, scrittore, compagno di mille battaglie al fianco di Peppino Impastato e attuale capo redattore di TeleJato. Dello stesso parere è Pietro Rao, ex consigliere comunale di minoranza nella giunta guidata da De Luca: «Non c’erano gli elementi per sciogliere il Comune per mafia. Faccio politica da più di vent’anni, sono nato a Partinico e quando bisognava scioglierlo perché c’erano forti legami con la criminalità organizzata non è stato fatto niente, adesso che questi soggetti non ci sono viene sciolto».

Secondo Rao «è stato tutto montato ad arte per giochi politici. Si doveva difendere un principio, una linea e per giustificare le proprie incapacità politiche hanno tentato di buttarla in caciara col fatto che erano tutti mafiosi, che tutto era condizionato e che non si poteva lavorare. Balle!». Tradotto: De Luca e Rosario Arena – commissario che ha sostituito il sindaco dopo le dimissioni – sono uomini del presidente della Regione Nello Musumeci. Entrambi avrebbero fallito nella gestione della città e la carta dell’antimafia sarebbe servita per coprire i fallimenti. Anche Toti Comito, esponente di maggioranza della giunta De Luca non reputa solidi i motivi dello scioglimento: «Non credo proprio che il consiglio comunale e l’amministrazione abbiano avuto pressioni mafiose. Evidentemente c’è altro ma non mi va di sindacare il lavoro prefettizio. Bisognava resettare il consiglio perché la macchina burocratica si era incancrenita e non era all’altezza della sfida».

Meno netto il giudizio dell’ex sindaco De Luca: «Quello che posso dire è che c’è stata una resistenza al cambiamento vero. Non so se questa possa essere definita mafia o no. Ho solo cercato di risanare i conti del Comune e progettare il futuro della città. Ma non mi è stata data questa possibilità». Intanto qualcuno – che preferisce rimanere anonimo – degli ormai ex consiglieri comunali fa sapere che procederà per vie legali: «Non posso rimanere a guardare. In questa storia c’è stata una grave manipolazione della verità».