1. Signor Ministro, le scrivo pubblicamente per evidenziare una conseguenza della serrata “sanitaria” dei confini nazionali. Forse meno vistosa di altre, eppure vertiginosa e insopportabile, se misurata con il metro della vita vera: l’improvvisa separazione tra persone che si amano, d’un tratto inesorabilmente lontane, il cui ricongiungimento è reso impossibile non dal Covid-19, ma dall’inazione del governo nel farsi carico del problema, come invece dovrebbe. A conferma che un’epidemia è un fenomeno prevalentemente sociale, con alcuni aspetti medici (come ci ricorda Bernard-Henry Lévy).
Suo è l’onere di risolverlo. Lei, infatti, non è (più) il Ministro della sanità, ma della salute, che è concetto diverso: secondo i dettami dell’OMS recepiti dal nostro ordinamento, la salute non è solo assenza di malattia, ma uno stato complessivo di benessere fisico ed equilibrio psichico che è suo compito istituzionale assicurare a tutti, senza irragionevoli discriminazioni.

2. La separazione forzata è stata, nella fase più acuta dell’epidemia, un’esperienza dolorosa comune. L’interruzione delle relazioni più care dovuta al lungo lockdown ha colpito – indistintamente – coppie sposate, unite civilmente, conviventi o semplicemente stabili. La progressiva riapertura dei confini regionali, poi nazionali, infine (dal 1° luglio) internazionali verso paesi epidemiologicamente “sicuri”, ha posto fine a questa grave sofferenza emotiva. Ma non per tutti.
Poiché l’amore nasce da un incontro imprevedibile, esistono coppie bi-nazionali, composte da un cittadino italiano e da un cittadino di paese extraeuropeo o esterno all’area Schengen. Figlie di un’epoca che, abbattendo muri e cancellando confini, ha sostituito alle piccole Heimat l’apertura al mondo, cioè la disponibilità – un tempo privilegio di pochi – a entrare in un fascio di inedite relazioni, anche d’amore. Lo sa signor Ministro? Per l’Italia queste coppie vanno relegate in un limbo, ignorate come non esistessero, e i due partner sono sequestrati l’uno all’altro, costretti a un reciproco esilio.

3. Il dispositivo che le tiene separate è nel d.P.C.M. 7 agosto 2020, il cui art. 4 vieta sia gli spostamenti da e per gli Stati inclusi in un’apposita blacklist, sia l’ingresso e il transito nel territorio nazionale a chi ha transitato o soggiornato in tali Stati nei 14 giorni antecedenti.
A confermare la regola, sono previste alcune eccezioni per categorie di persone, tra cui i «familiari» di cittadino italiano: coniuge, partner di unione registrata, discendenti diretti e indiretti, come stabilito dalla pertinente direttiva europea (2004/38/CE). Questa, tuttavia, aggiunge con formula ottativa che lo Stato membro ospitante, «conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso o il soggiorno» anche del «partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata» (art. 3, comma 2, lett. b).
È su questa base che Austria, Francia, Danimarca, Germania, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia, Repubblica Ceca, Svizzera, molto più civilmente di noi, rendono possibile il ricongiungimento di coppie bi-nazionali, nel rispetto di appositi protocolli ad hoc (quarantena obbligatoria, test Covid-19 a spese proprie, autodichiarazione solenne debitamente documentata di una relazione effettiva e duratura). Dunque si può fare. E se si può, il non farlo è una scelta tutta politica, non sanitaria. L’alternativa, signor Ministro, è tra una sperimentata soluzione ragionevole e un discriminatorio dispositivo proibizionista.

4. Forse Lei non si rende conto di cosa significa una simile separazione. Costringe a una relazione solo virtuale, disincarnata, impermeabile alla gioia ma vulnerabile al dolore. Congela l’idea di futuro che, solo, tiene in vita la vita a due. Costringe a convivere con l’assenza dell’altro e con una sua attesa senza possibili conti alla rovescia. Sostituisce alla gioia dell’amore uno sfondo depressivo su cui si affacciano frustrazione, collera, incertezza, impazienza, sgomento.
So di cosa parlo, assistendo da mesi all’inutile tributo emotivo pagato da mia figlia e dal suo compagno messicano. Se Lei, signor Ministro, è a corto di immaginazione o di empatia, vada a leggersi le tante storie – documentate sul sito www.loveisnottourism.org – che compongono una Spoon River degli amori senza confini. Oppure rilegga La peste di Albert Camus: «Incagliati a mezza via (…) più che vivere galleggiavano, in balia di giorni senza direzione e di ricordi sterili (…). Persino il passato a cui pensavano in continuazione aveva solo il sapore del rimpianto»; il loro amore «c’era ancora, ma era semplicemente inutilizzabile, pesante da portare». Può spiegarmi a che pro costringere qualcuno in condizioni simili?

5. Di questo persistente distanziamento non s’intravede la fine. Tra le coppie bi-nazionali è tutto un «si dice», «probabilmente», «forse». Si aggrappano ai pochi segnali di attenzione della politica, capace per ora di due soli atti formali: le interrogazioni parlamentari agostane di Emma Bonino al Senato (n. 4-03941) e del leghista Bazzaro alla Camera (n. 388). Entrambe ancora senza risposta.
Più promettente è l’attenzione europea della Commissaria agli Affari interni Johanson e della Presidente Von der Leyen, che hanno invitato i Paesi membri ad ampliare l’esenzione oggi valida solo per i «familiari», allargandone i beneficiari.
Il margine di apprezzamento riconosciuto a ogni Stato membro non giustifica l’arbitrio: anche la più ampia discrezionalità normativa, infatti, deve rispondere all’imperativo costituzionale della ragionevolezza. E il silenzio omissivo del Governo, traducendosi in un muto divieto, è del tutto irragionevole.
Non si giustifica con l’onnivoro argomento della salute pubblica, perché l’esperienza comparata dimostra la possibilità di un ricongiungimento in piena sicurezza, maggiore – perché non eludibile – della profilassi richiesta a un turista per caso o a un vacanziere di ritorno. Di più: l’assenza di canali d’ingresso legali indurrà, gioco forza, ad aggirare il divieto, e con esso la sua apparente finalità: un «testa o croce» tra alternative costose, pericolosamente incerte, abbandonate all’arbitrio interpretativo di agenti di frontiera. Né si può trasformare il diritto individuale alla salute in «un obbligo giuridico da adempiere a qualsiasi costo», come denuncia Giorgio Agamben, parlando in proposito di «biosicurezza»: i diritti vanno bilanciati tra loro, negando la tirannia di uno solo su tutti gli altri.

6. Alla fine, il sottinteso all’attuale divieto è il solo «fatevene una ragione», inaccettabile perché le situazioni difficili non vanno schivate, ma governate. Signor Ministro, non sia sordo all’ascolto e muto di parola. Ora lei sa, e il sapere – diceva Michel Foucault – non è fatto per comprendere, ma per prendere posizione. Spetta a Lei, che è tra i pochi a decidere i contenuti del prossimo d.P.C.M., restituire ragionevolezza a situazioni oggi senza speranza.