I 19 migranti trovati morti al confine tra Grecia e Turchia sono un segnale della cultura dell’indifferenza. C’è un problema di categorizzazione; ci sono categorie, al primo posto e al secondo posto: le categorie al primo posto in questo momento, mi spiace dirlo, sono le guerre. La gente è al secondo posto.

Pensa per esempio allo Yemen: da quanto tempo lo Yemen soffre la guerra e da quanto si parla dei bambini dello Yemen? Un esempio chiaro, e non si trova soluzione al problema da anni. Non voglio esagerare, più di 7 anni sicuro, se non 10. Ci sono categorie che importano e altre sono in basso: i bambini, i migranti, i poveri, coloro che non hanno da mangiare. Questi non contano, almeno non contano al primo posto, perché c’è gente che vuole bene a questa gente, che cerca di aiutarla, ma nell’immaginario universale quello che conta è la guerra, la vendita delle armi. Pensa che con un anno senza fare armi si potrebbe dare da mangiare ed educazione a tutto il mondo, in modo gratuito.
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Non voglio fare il tragico ma è la verità. Vediamo come si mobilitano le economie e cosa è più importante oggi, la guerra: la guerra ideologica, di poteri, la guerra commerciale e tante fabbriche di armi. La guerra è un controsenso della creazione; nella Bibbia è curioso: Dio crea l’uomo e la donna, andate in tutto il mondo, lavorate, fate figli, possedete la Terra. E subito dopo, una guerra fra fratelli. Uno cattivo contro un innocente, per invidia; e poi una guerra culturale, diciamo così, con la torre di Babele… subito vengono le guerre. C’è come un anti-senso della creazione, per questo la guerra è sempre distruzione. Per esempio, lavorare la terra, curare i figli, portare avanti una famiglia, far crescere la società: questo è costruire. Fare la guerra è distruggere. È una meccanica di distruzione.
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Quello che si fa con i migranti è criminale. Per arrivare al mare soffrono tanto. Ci sono dei filmati sui lager, e uso questa parola sul serio, lager, nella Libia, lager dei trafficanti. Quanto soffrono nelle mani dei trafficanti coloro che vogliono fuggire. Se volete vedere questi filmati, sono nella sezione migranti e rifugiati del Dicastero dello Sviluppo Umano. Soffrono e poi rischiano per attraversare il Mediterraneo. Poi, alcune volte, sono respinti, per qualcuno che per responsabilità locale dice: ‘No, qui non vengono. Ci sono queste navi che girano cercando un porto, che tornano o che muoiono sul mare. Questo succede oggi. Una cosa è vera: ogni Paese deve dire quanti migranti può accogliere; questo è un problema di politica interna che deve essere pensato bene e dire: ‘Io posso fino a questo numero’. C’è l’Unione Europea, bisogna mettersi d’accordo, così si fa l’equilibrio, in comunione. Adesso c’è l’ingiustizia: vengono in Spagna e in Italia, i due Paesi più vicini, e non li ricevono altrove.

Il migrante va sempre accolto, accompagnato, promosso e integrato. Accolto perché c’è la difficoltà, poi accompagnarlo, promuoverlo e integrarlo nella società. Quest’ultimo aspetto è molto importante. Pensate alla tragedia di Zaventem, questo l’ho detto tante volte, i ragazzi che hanno fatto quello erano belgi, nati in Belgio, ma figli di migranti ghettizzati, non integrati. Lì crescono le ideologie, tanto. Ci sono Paesi che con il calo demografico che vivono, penso alla Spagna, all’Italia e altri, hanno bisogno di gente. Un migrante integrato aiuta quel Paese. Dobbiamo pensare intelligentemente alla politica migratoria, una politica continentale. È una responsabilità nostra. Il fatto che il Mediterraneo sia oggi il cimitero più grande d’Europa ci deve far pensare.

Credo che questo sia realismo puro. Sui privilegi e la tentazione di guardare dall’altra parte. Su questo si deve pensare perché chi è nato in un Paese sviluppato con la possibilità della scuola, dell’università, del lavoro deve ringraziare; succede una psicologia che ci chiude: noi vediamo tutte queste cose, le vediamo. Vediamo i bambini che muoiono, migranti annegati, le ingiustizie le vediamo anche nei nostri Paesi, ma c’è sempre una tentazione molto brutta, quella di guardare da un’altra parte, non guardare. Con i media vediamo tutto ma prendiamo distanza e guardiamo da un’altra parte. Ci lamentiamo un po’, ‘è una tragedia!’ ma poi è come se nulla fosse accaduto. Non basta vedere, è necessario sentire, è necessario toccare. Qui entra la psicologia dell’indifferenza, ‘Io vedo ma non mi coinvolgo, non tocco e vado avanti’.
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Quando Gesù ci parla di come dobbiamo comportarci col prossimo, ci dice la parabola del buon samaritano; ci parla prima di due persone brave: uno scriba e un dottore della legge, un uomo osservante della legge, che passa, vede e continua; un sacerdote, forse un buon sacerdote, passa, vede e continua. Soltanto un uomo, uno straniero, si ferma, tocca e se ne prende carico. Ci manca il toccare le miserie e toccare ci porta all’eroicità. Penso ai medici, agli infermieri e infermiere che hanno dato la vita in questa pandemia: hanno toccato il male e hanno scelto di rimanere lì con gli ammalati. Questo è grande, ma se tu non tocchi… una volta ho letto un articolo molto bello, (che diceva) ‘Il tatto è il senso più completo, più pieno, quello che ci mette la realtà nel cuore. Quando qualcuno viene a consultarmi o a confessarsi, io domando se danno l’elemosina (e rispondono) ‘Sì, sì”; e quando chiedo se quando danno l’elemosina toccano la mano della persona (rispondono) ‘Ah, non so, non me ne sono accorto’; e chiedo se guardano negli occhi quella persona o se guardano da un’altra parte. Toccare, farsi carico dell’altro. Ma se noi guardiamo senza toccare con le nostre mani cos’è il dolore della gente, non potremo mai trovare una soluzione a questo.
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Poi c’è il problema dell’aggressività sociale: è un problema che hanno studiato gli psicologi e i sociologi bene. E per questo non mi permetto di dire una parola perché loro sono coloro che sanno spiegare bene. Soltanto sottolineo una cosa: come è cresciuto il numero dei suicidi giovanili. Cosa significa? C’è un’aggressività che scoppia, pensa nella scuola il bullying. Quando ti prendono un ragazzo o una ragazza e dai dai dai, per distruggerlo. Questa è un’aggressività nascosta. Questa aggressività è un problema sociale, non è soltanto l’aggressività di una persona malata, ma socialmente il bullying è un problema che si dà, eccome. Quest’aggressività nostra va educata. L’aggressività non è una cosa in sé stessa negativa perché serve l’aggressività per dominare la natura, per andare avanti, costruire, c’è un’aggressività positiva diciamo così.

Ma c’è un’aggressività distruttiva che incomincia anche con una cosa molto piccola ma voglio menzionarla qui: comincia con la lingua, il chiacchiericcio. Ma il chiacchiericcio, nelle famiglie, nei quartieri, distrugge. Un nunzio apostolico ha fatto uno studio del chiacchiericcio, molto buono, e nella copertina la stampa è questa: l’impronta digitale e uno che, come un filo, la stira per distruggerla. Questo è il chiacchiericcio. Distrugge l’identità. Il chiacchiericcio non è una cosa che si fa soltanto tra i governanti, si trova tra le famiglie. Per questo mi permetto di consigliare, per non distruggerci: no al chiacchiericcio. Se tu hai una cosa contro l’altro o te la mangi te o vai da lui e dilla in faccia, essere coraggiosi, coraggiose. Ma no, è una cosa dolce chiacchierare degli altri e questo distrugge. Sembra un sermone morale ma è una realtà: lì incominciano le guerre, le divisioni.
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Nella società vediamo quante volte si guardano gli altri dall’alto in basso per dominarli, sottometterli, e non per aiutarli a rialzarsi. Pensa soltanto – è una storia triste, ma di tutti i giorni – a quegli impiegati che devono pagare col proprio corpo la stabilità lavorativa, perché il loro capo li guarda dall’alto in basso, ma per dominarli. È un esempio di tutti i giorni, ma veramente di tutti i giorni. Invece questo gesto è lecito soltanto per fare questo: io posso guardare un altro dall’alto in basso soltanto a rischio di cadere anch’io, per fare un gesto nobile: alzati fratello, alzati sorella. Altri sguardi dall’alto in basso non sono leciti, mai, perché sarebbero sguardi di dominazione, e questo non va bene.
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Dio ci ha fatto buoni ma liberi. E quella libertà è quello che è capace di fare del male. Quella libertà è capace di fare tanto bene e anche tanto male. Siamo liberi, no? Nel mito della Creazione c’è scritto: “Non fare questo, perché accadrebbe questo. E tu hai fatto questo, e ti ammali”. E come Dio ci ha fatto liberi, noi siamo padroni delle nostre decisioni e anche di fare decisioni sbagliate. Questa è la libertà che ci ha dato Dio. Dirò una cosa che forse farà scandalizzare qualcuno, ma dirò la verità: la capacità di essere perdonato è un diritto umano. Tutti noi abbiamo il diritto di essere perdonati se chiediamo perdono.

È un diritto che nasce proprio dalla natura di Dio ed è stato dato in eredità agli uomini. Noi abbiamo dimenticato che qualcuno che chiede perdono ha il diritto di essere perdonato. Tu hai fatto qualcosa, lo paghi. No! Hai il diritto di essere perdonato, e se poi tu hai qualche debito con la società arrangiati per pagarlo, ma con il perdono. Il papà del figliol prodigo aspettava il figlio per perdonarlo, e il figlio aveva il diritto di essere perdonato, ma lui non lo sapeva, per questo dubitava tanto. L’anno scorso alcuni ragazzi hanno fatto un’opera sul figliol prodigo con la musica pop, bellissima, e l’ultimo atto era su quando il figliol prodigo decide di ritornare a casa.

E dice a un amico: “Sai, ho paura che papà non mi riceva e anche che chiami la polizia e mi mandi in carcere, ho paura”. E l’amico gli consiglia: “Invia una lettera a papà, digli papà ho sbagliato, vorrei trovarti, vorrei chiederti perdono, ma ho paura di avvicinarmi. Per favore, se tu sei disposto a ricevermi, a perdonarmi, metti un fazzoletto bianco in una finestra della casa”. Questa è la lettera che invia al papà, e poi l’opera finisce quando il figlio sta tornando a casa e, quando prende proprio il cammino che va diretto alla casa, guarda la casa e la casa è piena di fazzoletti bianchi, piena. Un simbolo del perdono di Dio, un perdono che noi abbiamo ereditato. E non solo di perdonare e di essere perdonati, ma anche il diritto umano di essere perdonati. Questo è importante, non dimentichiamocelo.
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di GIORGIO MANACORDA

Ho visto un Papa normale,
uno che malgrado la cadrega

d’ordinanza e la Madonna in alto
parlava pensando e pensando

rideva senza Gesù Cristo al muro
ma solo penzoloni sulla veste bianca

in un metallo strano, forse latta,
non era argento o d’oro il figlio

di Dio. Lui parlava col padre,
quel vecchio Papa un po’pesante,

quel signore sognante: è l’umana
libertà la campana che suona per il male

e non protegge i pargoli d’Erode.
Se ti esplode la fede
e salta l’innocenza,

non è abbastanza,
buon signore parlante?
Alzati da quel trono di velluto,
e io ti saluto onesto Papa disperante

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