Sul tema dell’eutanasia, del referendum e delle posizioni espresse da mons. Paglia nella prima trasmissione (della nuova serie) di Corrado Augias (Rebus, 10 ottobre 2021), il filosofo e saggista Giovanni Fornero scrive su Il Riformista di sabato 20, di “provare un certo ‘stupore’, dovuto al fatto che Paglia sorvola sul fatto che chi dice che la vita è indisponibile non è qualche sparuto gruppo di cattolici, ma i documenti ufficiali della Chiesa, ossia i testi (dalla Dichiarazione sull’eutanasia alla Evangelium vitae alla Samaritanus bonus) nei quali è contenuto e sintetizzato il magistero cattolico in materia”. Magistero (sintetizzo) secondo il quale la vita è “dono di Dio” e dunque nessuno può decidere per un termine anticipato (eutanasia o suicidio assistito che sia) e tantomeno possono deciderlo le legislazioni.

Il tema sollevato da Fornero è interessante e merita qualche puntualizzazione. Prima di tutto, cosa ha detto mons. Paglia? Nel dibattito con Augias – per forza di ‘cose’ affastellato e confuso, con frequenti interruzioni (tecnica tv ora di moda) – mons. Paglia voleva sottolineare un tema fondamentale: la vita è mia, ma anche degli altri (e qui Augias è sbottato!). Cioè esiste una dimensione relazionale e comunitaria: la persona non è una monade isolata ma vive ben dentro un tessuto di rapporti affettivi, dunque vive in un mondo di relazioni. Ignorarlo significa staccare la persona dal contesto. In questo senso – direbbe mons. Paglia – ogni scelta è inserita in una relazione tra persone, non è assoluta. Ma non ha potuto dirlo in maniera completa e compiuta. Eppure è un elemento importante per il seguito di questo discorso.

Veniamo più in dettaglio alle considerazioni su quale sia la dottrina. La Chiesa cattolica non ha le posizioni che Fornero sintetizza. Certamente la vita è “dono di Dio” ma in un contesto e in una situazione. Nel caso della malattia, la Chiesa si è espressa da molti anni per la “proporzionalità dei trattamenti” e contro “l’accanimento terapeutico”, che oggi si definisce meglio con l’espressione “ostinazione irragionevole”. Proprio il recente documento “Samaritanus Bonus” che Fornero cita, intitola il capitolo V, par. 2 “L’obbligo morale di escludere l’accanimento terapeutico”. Del resto Papa Francesco nel discorso del 17 novembre 2017 al simposio tra la Pontificia Accademia per la Vita e la World Medical Association, notava che quando la proporzionalità viene a mancare, astenersi dal trattamento non è solo lecito ma doveroso. Una linea che si trova nel Catechismo della Chiesa Cattolica: l’ultima parola è del malato, nella misura in cui è in grado di esprimersi (par. 2278). E in quella stessa trasmissione con Augias, mons. Paglia ha parlato a favore delle Direttive anticipate di trattamento (Dat) che servono per dirimere quei casi in cui il malato non può più esprimersi (coma, stati vegetativi). Qualora le Dat non ci siano, ecco entrare in campo le famiglie, i parenti, gli affetti: la relazione, dunque, perché ognuno di noi non vive isolato.

Da notare, ancora, che la posizione della Chiesa contro “l’ostinazione irragionevole” dei trattamenti terapeutici (quando la guarigione non è possibile e comunque il decorso è fatale come accadrà a ognuno di noi, visto che siamo tutti mortali), è diversa da eutanasia e suicidio assistito. Qui occorre tener conto della distinzione tra uccidere e lasciar morire, quando i mezzi terapeutici diventano sproporzionati. Uccidere invece è sospendere dei mezzi terapeutici ancora proporzionati rispetto alla situazione del malato. Quindi serve una valutazione caso per caso. Però ciò non vuol dire che nella posizione del Magistero ci sia tutto e il contrario di tutto. Sicuramente non ci sono quegli elementi che il filosofo Fornero indica. C’è invece un di più di considerazione esistenziale che va esplicitata. Perché entra in campo un ulteriore aspetto della visione cattolica (a volte difficile da far comprendere anche allo stesso mondo cattolico…!). Il filosofo Fornero dovrebbe prenderlo in considerazione, perché la posizione della Chiesa non è quella rappresentata dal suo articolo, né punto né poco. Il vero tema non è il valore assoluto della vita fisica. La Chiesa non sostiene questo.

La Chiesa parla da sempre di dignità della persona, che è ben diverso. È la dignità della persona il valore da salvaguardare. Lo diceva Pio XII il 24 novembre 1957: “la vita, la salute, tutta l’attività temporale sono infatti subordinate a fini spirituali”. Un testo fondamentale: era il discorso agli scienziati dell’Istituto Italiano di Genetica “Gregorio Mendel” sulla rianimazione e respirazione artificiale (in: Acta Apostolicae Sedis, AAS, 49, 1957, pp. 1027-1033). Ed Evangelium Vitae, l’enciclica-guida su questi temi (finora) di Giovanni Paolo II, nota che la vita “non è realtà ultima ma penultima”. La vita umana non va sacralizzata, non va collocata al primo posto e non va dunque ‘sacralizzata’ la dimensione biologica. Il fine ultimo della vita umana sulla Terra è dato dalla relazione con Dio.

Per i credenti con la morte la vita non finisce. Posizione ben diversa da quella sintetizzata dal filosofo Fornero e da una “vulgata” che semplifica eccessivamente le posizioni della Chiesa facendola passare per antiscientifica e anti-umana laddove si dice che idealizza il dolore (una prova da accettare!). Invece la Chiesa è a favore delle cure palliative (sempre Catechismo, par. 2279) e, appunto, di un metodo di approccio alla malattia (sempre ma soprattutto quando è inguaribile) che mette al centro la relazione e il malato, non l’accanimento, non l’ostinazione irragionevole. In un quadro di non esaltazione della dimensione biologica, perché quando non si può guarire, ci si può sempre prendere cura dei malati.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).