Il documento "Samaritanus bonus"
Eutanasia, così il Vaticano nega i diritti del malato
Con la lettera Samaritanus bonus la Congregazione Vaticana per la dottrina della fede fornisce, con l’approvazione del Papa, un contributo alla violazione delle leggi dello Stato italiano e alla negazione del diritto all’autodeterminazione dei malati. La Santa Sede afferma che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana, ed arriva a definire “complici” non solo coloro che aiutano i malati a interrompere la propria vita, ma anche i Parlamentari che approvano leggi sull’eutanasia e il suicidio assistito. Con il consenso del Papa, l’ex Sant’Uffizio arriva a spaventare i malati terminali, sostenendo che «una persona che si sia registrata in un’associazione per ricevere l’eutanasia deve mostrare il proposito di annullare tale iscrizione prima di ricevere i sacramenti». La lettera Samaritanus bonus rappresenta un atto di sfida esplicito e frontale contro le sentenze della Corte costituzionale che hanno legalizzato in Italia il suicidio assistito in determinate condizioni e che hanno per due volte richiamato il Parlamento a intervenire per legiferare.
Con le loro parole, la Congregazione e il Papa, favoriscono l’aggravarsi delle azioni – quelle sì criminali – che sono concretamente perpetrate ai danni di malati terminali costretti a scegliere tra la violenza di una condizione di sofferenza nella quale non vorrebbero vivere e i rischi dell’eutanasia clandestina. Contro tale crimine, con Mina Welby e Gustavo Fraticelli continuiamo l’azione di disobbedienza civile, come abbiamo fatto con le oltre 1.000 persone – cattolici e non – che si sono rivolte a noi finora per ottenere aiuto a morire. Il XVII Congresso dell’Associazione Luca Coscioni, che si apre online venerdì 25 settembre alle 17.30, discuterà le nuove iniziative da assumere per aiutare i cittadini italiani ad accedere all’aiuto alla morte volontaria seguendo le indicazioni della Corte costituzionale e per richiamare il Parlamento alle proprie responsabilità.
Ma quando parliamo di aiuto, di che aiuto stiamo parlando? «Mi chiamo Chiara (nome di fantasia, ndr) ho 55 anni e sono una malata oncologica dal 2012. Purtroppo nel 2018 mi è stato diagnosticato un secondo tumore, un melanoma molto aggressivo. Tre settimane fa mi è stato detto che non ci sono più terapie utilizzabili e che mi restano solo le terapie del dolore e le cure palliative. Conscia della situazione in cui mi trovo, e che per sfortunate circostanze ho dovuto vivere precedentemente come parente, e amica di malati oncologici, vi scrivo questa mail per avere informazioni relative a come poter riuscire a gestire in maniera serena ed indipendente la mia morte». Questo è solo uno dei tanti messaggi che abbiamo ricevuto dall’inizio della disobbedienza civile con la quale aiutiamo le persone ad accedere all’aiuto alla morte volontaria, chiedendo che finalmente il Parlamento discuta la proposta di legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale presentata nel settembre 2013 e firmata da oltre 136.000 italiani.
Nel frattempo, tante cose sono cambiate. La scossa data da vicende come quelle di Piergiorgio Welby, Beppino Englaro, Fabiano Antoniani, Davide Trentini hanno portato il Parlamento ad approvare la legge sull’interruzione delle terapie e il testamento biologico, e far muovere la giurisprudenza nel senso di un più ampio riconoscimento del diritto all’autodeterminazione. Ammalarsi fa parte della vita. Come guarire, morire, nascere, invecchiare, amare. Le buone leggi servono alla vita: per impedire che siano altri a decidere per noi. Chi chiede l’eutanasia o il suicidio assistito vuole solo morire con dignità, essere libero di scegliere, dall’inizio alla fine della propria vita. Si tratta solo di riconoscere un diritto umano. Le decisioni di fine vita sono decisioni personalissime e, in quanto tali, devono essere prese con la massima libertà dalla persona per sé stessa. In Italia, la Costituzione riconosce che nessuno può essere obbligato ad alcun trattamento sanitario contro la propria volontà e prevede altresì che la libertà personale è inviolabile.
«Mi chiamo Davide, ho 52 anni – scriveva nell’aprile 2017, pochi giorni prima di morire – sono malato di sclerosi multipla dal 1993. […] Le ho provate proprio tutte. Ora da 1.92 sono diventato uno sgorbio con le gambe lunghe, gobbo fino quasi in terra, ma SOPRATTUTTO dolori lancinanti e insopportabili h24. Non ce la faccio proprio più senza nessuna prospettiva, ogni giorno sto sicuramente peggio del giorno prima, e dopo una lunghissima riflessione ho deciso di andare in Svizzera per il suicidio assistito (…). Spero tanto che l’Italia diventi un paese più civile, facendo finalmente una legge che permetta di porre fine a sofferenze enormi, senza fine, senza rimedio, a casa propria, vicino ai propri cari, senza dover andare all’estero, con tutte le difficoltà del caso, senza spese eccessive. (…) Tra poco partirò per la mia tanto sognata “vacanza”!!! Evviva».
Davide non aveva i soldi per andare in Svizzera. Ma è tollerabile che il diritto a scegliere di morire senza soffrire dipenda dai soldi o dalla “tecnica” attraverso la quale una persona è tenuta in vita? Il Vaticano e il Papa non credono che tale diritto debba essere riconosciuto in nessun caso. Lo Stato italiano ha fatto dei passi avanti grazie alla Consulta. Noi però crediamo che il diritto alla libertà di scelta debba dipendere dalla valutazione che ciascun malato terminale può fare su quanto ritenga tollerabile la propria sofferenza ed accettabile la qualità della propria vita.
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