A quasi due anni dai fatti, ieri si è concluso il procedimento a carico di Marco Cappato per aver accompagnato Fabiano Antoniani, meglio noto come DJ Fabo, a ottenere il suicidio assistito in una clinica Svizzera. La Corte di Assise di Milano ha assolto il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni perché il fatto non sussiste. A seguito di un incidente stradale che lo aveva costretto a letto e alla progressiva perdita della vista, DJ Fabo aveva manifestato pubblicamente il proprio desiderio di non voler più soffrire nelle condizioni in cui era costretto e da cui non sarebbe mai più potuto tornare indietro. «Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione», aveva scritto al Presidente delle Repubblica Mattarella nel 2017 confessando di non trovar più alcun senso in quella sua vita, «ritengo più dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia». Una lettera simile, nella determinazione, a quella inviata da Piergiorgio Welby nel 2006 e indirizzata all’allora presidente Giorgio Napolitano.

Nel febbraio del 2017 Marco Cappato, che da anni assieme alla vedova di Welby, Mina, e a Gustavo Fraticelli aveva creato un’associazione per aiutare chi voleva guadagnare una morte opportuna e porre fine a una vita considerata non più degna di essere vissuta, come diceva Welby, decise di accompagnare personalmente Antoniani in Svizzera per vedere le sue volontà rispettate. Una decisione in contrasto con il nostro codice penale presa nella convinzione che norme che limitano le libertà individuali debbano esser disobbedite per creare regole che consentano libere scelte che non recano danno ad altri. Appena rientrato a Milano si presentò ai carabinieri raccontando quanto fatto e il perché. Il processo Cappato dovrà esser studiato, e non solo per il suo epilogo.

Le decine di incontri e convegni promossi dall’Associazione Luca Coscioni ne hanno messo, e continuano a mettere, in evidenza la complessità procedurale e le implicazioni etico-morali della vicenda – oltre che naturalmente i profili di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale. Nella primavera del 2017 il Giudice per le indagini preliminari aveva infatti chiesto l’imputazione coatta dell’ex eurodeputato perché l’accusa si era schierata dalla parte del gesto di Cappato rendendo difficile la presa di una decisione da parte del Tribunale di Milano.