Come è risaputo, monsignor Paglia è decisamente contrario alla “dolce morte” ed è uno dei maggiori oppositori odierni della “eutanasia legale” e della campagna referendaria per l’eutanasia legale promossa dall’Associazione Luca Coscioni. Ciò non toglie che in una puntata televisiva di Rebus, dopo aver sostenuto più volte che “la vita è mia” (pur aggiungendo che essa “è anche degli altri”) abbia esplicitamente dichiarato che “Io non sono d’accordo con chi dice che la vita è indisponibile, tutt’altro, la vita è mia tanto che ci sono cristiani e non cristiani che danno la propria vita per salvare quella degli altri”. Questa affermazione, sebbene i media non abbiano prestato ad essa debita attenzione, è davvero notevole e merita qualche nota di commento.

Chiaramente, udire da un monsignore che occupa una posizione così importante all’interno della Chiesa cattolica odierna che egli non è “d’accordo” con chi ritiene che la vita sia indisponibile per noi non può che essere fonte di soddisfazione (la stessa che traspariva dal volto di Corrado Augias nell’ascoltare simili parole). Dall’altro lato, è difficile non provare un certo “stupore”, dovuto al fatto che Paglia sorvola sul fatto che chi dice che la vita è indisponibile non è qualche sparuto gruppo di cattolici, ma i documenti ufficiali della Chiesa, ossia i testi (dalla Dichiarazione sull’eutanasia alla Evangelium vitae alla Samaritanus bonus) nei quali è contenuto e sintetizzato il magistero cattolico in materia. Gli stessi documenti, tra l’altro, i quali precisano che gli atti con cui si offre la vita per il prossimo sono atti di tipo diverso rispetto a quelli propriamente autouccisivi o eutanasici e quindi non possono a rigore essere assimilati ad essi.

Poste queste premesse, come devono essere interpretate le parole di Paglia? Si tratta forse di un semplice sforzo mediatico di sintonizzarsi meglio con la mentalità corrente? Oppure si tratta di un tentativo di rapportarsi in modo nuovo agli strategici concetti della indisponibilità e disponibilità della vita? Penso che una risposta sia prematura. Infatti solo il futuro potrà dirci se le sue dichiarazioni rappresentano l’inizio di un possibile cambiamento di rotta da parte delle gerarchie vaticane. Certo è invece che in esse si coglie un certo disagio o imbarazzo nel difendere in modo granitico la posizione tradizionale. Bene si è fatto quindi, nella recente raccolta firme per il referendum eutanasia legale, ad arricchire i consueti e accattivanti slogan (“liberi fino alla fine”, “la mia vita mi appartiene”) con i termini, di matrice filosofica, della indisponibilità e disponibilità della vita. Altrettanto bene hanno fatto Filomena Gallo e Marco Cappato e a far propria l’interpretazione della nostra epoca alla stregua di ciò che in Indisponibilità e disponibilità della vita definisco un «epocale passaggio dal paradigma della indisponibilità della vita al paradigma della disponibilità della vita».

Grazie all’Associazione Luca Coscioni, che ha avuto il merito di renderla fruibile, questa griglia teorico-filosofica ha cominciato a prendere piede anche nei media e presso il largo pubblico, confermando come l’idea della disponibilità della propria vita si presti a fungere da proficua cornice culturale generale delle battaglie a favore delle pratiche eutanasiche. Una “cornice” in grado di suscitare il consenso anche di quella sempre più vasta quota di cattolici (emblematicamente rappresentata da Mina Welby) che non si riconosce più nelle posizioni tradizionali del magistero circa l’indisponibilità della vita e che a proposito di questi temi (e di altri concernenti i diritti civili) attesta la presenza, all’interno della Chiesa cattolica, di uno scisma sempre meno “sommerso”.