Sale la tensione sulla crisi in Ucraina: gli Stati Uniti lanciano allarmi, il Presidente Joe Biden evoca una nuova Guerra Mondiale, il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky condanna l’allarmismo, la Russia nega un’invasione imminente. Alcuni media avevano ipotizzato un’avanzata di Mosca a metà febbraio. Il Cremlino nega. Si parla di sanzioni e diplomazia: una soluzione alla crisi internazionale potrebbe essere un ritorno agli accordi di Minsk.

Il protocollo Minsk II è stato firmato nel 2015 in Bielorussia dopo il fallimento del precedente Minsk I sottoscritto nel 2014. Era stato elaborato per mettere fine al sanguinoso conflitto esploso nella regione dell’Ucraina orientale del Donbass. I separatisti filo-russi avevano conquistato le aree nel 2014 e avevano proclamato le Repubbliche popolari di Luhansk (Lpr) e Donetsk (Dpr). Gli accordi vennero firmati da rappresentanti di Russia, Ucraina, dai leader separatisti e dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) e furono in seguito approvati da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il protocollo prevedeva il cessate il fuoco, il ritiro delle armi pesanti dal fronte monitorato dall’Osce, la ripresa del dialogo per le elezioni nelle due auto-proclamate repubbliche popolari, il ripristino dei legami commerciali e sociali e del controllo del confine con la Russia di Kiev, il ritiro delle forze straniere e dei mercenari, una riforma costituzionale per conferire un’autonomia maggiore al Donbass rispetto al governo centrale.

I combattimenti effettivamente si interruppero e l’Osce partì con il suo monitoraggio. La Russia non ha però mai riconosciuto un proprio ruolo nel conflitto, negato di avere forze in campo, definendosi sempre un osservatore, nonostante le prove del suo coinvolgimento e del suo sostegno ai separatisti. Kiev rifiuta il dialogo con i ribelli e vuole riprendere il controllo del confine con la Russia prima delle elezioni nelle zone occupate. Mosca invece ritiene che le elezioni debbano tenersi sotto il controllo dei separatisti. Lo status del Donbass non è quindi mai stato definito. Per Kiev dovrebbe avere la stessa autonomia delle altre regioni ucraine all’interno di un sistema federale; per Mosca dovrebbe avere uno statuto speciale con propri forze di polizia e sistema giudiziario.

Le frange nazionaliste – politiche ma anche extrapolitiche se non paramilitari e soprattutto di estrema destra – rappresentano uno dei principali dissuasori a un ulteriore decentramento che il governo potrebbe concedere alle zone occupate. La scrittura ambigua e non precisa del documento lascia perseguire all’Ucraina e alla Russia diversi obiettivi a sette anni dalla firma degli accordi. Per Kiev il protocollo va rispettato prima liberando il campo da forze militari e poi con le elezioni, Mosca sostiene esattamente il contrario. Sia il Presidente della Francia Emmanuel Macron che il Segretario di Stato americano Antony Blinken sostegno gli accordi come via d’uscita dalla crisi. A tutto questo si aggiungono tuttavia le tensioni per un progressivo avvicinamento di Kiev all’Europa e soprattutto per un presunto ingresso della Nato che porterebbe l’Alleanza al confine con la Russia. Il mondo è con il fiato sospeso. Dallo scorso autunno Mosca sposta truppe in tutta l’area a circondare l’Ucraina: la settimana scorsa sono partite le esercitazioni congiunte in Bielorussia e quelle navali nel Mar Nero e nel Mare di Azov.

L’esplosione del conflitto nella zona orientale coincise con l’annessione della penisola della Crimea da parte della Russia nel 2014 – tramite l’invio di truppe e un referendum sull’autodeterminazione non riconosciuto dalla maggioranza della comunità internazionale. Dall’inizio della guerra in Donbass sono sono circa un milione e mezzo gli sfollati in Ucraina, quasi 14mila i morti. La notizia che ha destato preoccupazioni nelle ultime ore: l’Osce ha confermato il ritiro da parte di “alcuni singoli Stati” dei “loro cittadini che prestano servizio nella missione di monitoraggio in Ucraina”. Il segretario generale dell’Osce ha confermato che gli osservatori resteranno dispiegati in dieci città e che la Missione continuerà ad adempiere al mandato.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.