Le Olimpiadi in corso a Pechino non sono soltanto un grande evento sportivo. Per la Cina sono anche l’occasione di rimarcare il suo peso sullo scacchiere globale. E per concludere nuovi affari capaci di proiettare l’economia del Dragone verso il sorpasso sugli Usa. In questo disegno, l’alleanza economica con la Russia diventa un tassello cruciale. Proprio in occasione dell’inaugurazione dei giochi olimpici, infatti, i due paesi hanno firmato un contratto di 30 anni con il quale Mosca si impegna a fornire gas a Pechino tramite un nuovo gasdotto.

Ironia dell’accordo, le nuove vendite di gas saranno regolate in euro: in questo modo la Russia (ma il ragionamento vale anche per la Cina) cerca di diversificare il proprio business e di proteggersi da eventuali sanzioni da parte di Washington, evitando la dipendenza dal dollaro Usa. Mosca rafforza l’alleanza energetica con Pechino proprio nel momento in cui i rapporti con l’Occidente sono incandescenti a causa della minaccia di invasione dell’Ucraina. Gazprom, che ha il monopolio delle esportazioni di gas russe tramite gasdotto, ha accettato di fornire 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno, d’accordo con la principale società energetica statale cinese, la China National Petroleum Corporation (Cnpc). I primi flussi, che passeranno attraverso il gasdotto che collegherà la regione dell’Estremo Oriente russo con la Cina nord-orientale, dovrebbero iniziare tra due o tre anni.

Oggi, la Russia invia già gas naturale liquefatto (Gnl) alla Cina tramite il gasdotto Power of Siberia, che ha iniziato i rifornimenti nel 2019. Nel 2021 Mosca ha così esportato in tutto 16,5 miliardi di metri cubi di gas verso Pechino. La rete Power of Siberia non è collegata ai gasdotti che inviano gas ai paesi europei, che oggi soffrono poderosi aumenti dei prezzi del gas a causa delle scarse forniture: un fenomeno che crea una forte frizione con Mosca. Fino a questo momento, il piano della Russia era quello di fornire alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas tramite gasdotto entro il 2025. Il nuovo accordo, stipulato proprio durante la visita del presidente russo Vladimir Putin alle Olimpiadi invernali di Pechino, aggiungerà altri 10 miliardi di metri cubi a vantaggio del governo di Xi per un valore complessivo stimato pari a 117,5 miliardi di dollari.

Da parte sua, inoltre, il gigante petrolifero russo Rosneft guidato da Igor Sechin – imprenditore ed ex agente segreto russo alleato di lunga data di Putin, soprannominato Dart Fener come il cattivo di Guerre Stellari – ha firmato un accordo con il Cnpc cinese per fornire 100 milioni di tonnellate di petrolio in 10 anni, attraverso il Kazakistan, estendendo di fatto un accordo già esistente. Secondo Rosneft il nuovo accordo vale 80 miliardi di dollari. «La cooperazione energetica di Rosneft con i partner cinesi è parte integrante», ha affermato la compagnia petrolifera in un comunicato stampa, che ricorda di essere il più grande esportatore di petrolio in Cina, avendo coperto il 7% della sua domanda annuale. Le società hanno anche firmato un memorandum di cooperazione per sviluppare le proprie produzioni a basse emissioni di carbonio, comprese la riduzione delle emissioni di gas serra e lo sviluppo di tecnologie di cattura del carbonio.

Grazie a questi affari, i legami tra le due autocrazie si rafforzano sempre di più. Da una parte la Russia, che è già il terzo fornitore di gas di Pechino, diventa sempre più determinante sul piano globale. Gli accordi, inoltre, rafforzano il rublo e il mercato azionario russo, comprese le azioni di Rosneft e Gazprom. Dall’altra, la Cina, il più grande consumatore di energia del mondo, riduce la sua dipendenza dai paesi occidentali e sposta l’asse della geoeconomia verso l’Oriente. Quali sono le conseguenze di questo patto asiatico sulle forniture di gas naturale all’Europa, visto che la Russia è il più grande fornitore dei paesi europei? In realtà, il nuovo accordo con Pechino non permetterebbe a Mosca di deviare il gas altrimenti diretto verso l’Europa: il gas promesso alla Cina, infatti, proviene dall’isola di Sakhalin nel Pacifico, un’isola che è non collegata alla rete europea di gasdotti della Russia. Secondo i dettagli forniti da Gazprom e dalle fonti cinesi, il gas russo in partenza dall’isola di Sakhalin sarà trasportato in estremo oriente tramite gasdotto attraverso il Mar del Giappone fino alla provincia di Heilongjiang, nella Cina nord-orientale, raggiungendo fino a 10 miliardi di metri cubi all’anno intorno al 2026.

Nonostante queste rassicurazioni, i paesi europei temono che se l’attuale crisi Russia-Ucraina dovesse degenerare in un conflitto militare, Putin possa decidere di sfruttare il controllo del suo Paese sulle forniture di gas naturale per aumentare la pressione sul continente. La Russia fornisce circa il 40% del gas naturale dell’Unione europea: una fonte vitale, per esempio, per garantire il riscaldamento domestico in tutta l’Europa centrale e orientale. Se Mosca interrompesse tutte le forniture all’Europa, ciò porterebbe a un razionamento di emergenza e a blackout continui nell’Ue. La dipendenza europea dal gas russo è stata a lungo un freno alla capacità dell’Unione di applicare sanzioni punitive alla Russia. Nelle ultime settimane Bruxelles ha avviato un’offensiva diplomatica con Stati Uniti, Azerbaigian, Nigeria e Qatar, grandi produttori di Gnl, allo scopo di garantirsi ulteriori forniture.

Kadri Simson, commissario per l’energia dell’UE, ha assicurato la «chiara volontà dell’Azerbaigian di sostenere l’Ue in caso di interruzione dei flussi di gas». Dal canto suo, Olaf Scholz è volato a Washington per incontrare Joe Biden: è la prima volta da quando è diventato cancelliere della Germania. L’obiettivo dell’incontro è quello di mostrare un fronte unito con il presidente degli Stati Uniti dopo le accuse rivolte a Berlino, da molti considerata l’anello debole nella resistenza occidentale alla Russia, proprio a causa della dipendenza energetica da Mosca. In più, dopo le intese siglate tra Russia e Cina, l’unità del fronte occidentale non deve essere messa in dubbio. Tuttavia, non è affatto detto che, in caso di crisi militare e di fronte a dure sanzioni contro la Russia, la più profonda cooperazione economica tra i due colossi asiatici possa essere sufficiente a tutelare Mosca.

Se è vero infatti che, sul piano commerciale, la Russia dipende profondamente dalla Cina – secondo i dati del Wto e della dogana cinese, la Cina è il partner commerciale numero uno della Russia, rappresentando il 16% del valore del suo commercio estero – non è affatto vero il contrario, visto che il commercio tra i due paesi rappresenta solo il 2% del volume totale degli scambi commerciali cinesi. In più, l’economia cinese vive una situazione tanto traballante da non permettere a Xi di legare le proprie fortune a quelle del suo alleato a Mosca. «Supportare la Russia è un interesse strategico per Xi Jinping» così come «per Putin è una vittoria il desiderio dichiarato della Cina di una soluzione diplomatica alla crisi», assicura alla Cnn Craig Singleton, senior China fellow della Fondazione per la difesa delle democrazie con sede a Washington. Tuttavia, avverte Singleton, «sarà difficile per la Cina andare oltre il sostegno verbale e approfondire ulteriormente i legami economici con la Russia».

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