La crisi tra Russia e Ucraina rischia di incrinare la già debole relazione tra Washington e Mosca, rievocando minacce e paure della Guerra Fredda. La postura di Mosca appare sempre più minacciosa, ma l’attuale posizione russa è solo il più recente episodio di un conflitto nato a cavallo tra il 2013 e il 2014, quando il Cremlino mosse le truppe per invadere la Crimea, penisola dell’Ucraina che permette di avere alla Russia l’unico sbocco sul mare.

Il ruolo del Donbass

Il presidente russo Vladimir Putin ha infatti sfruttato il caos politico nel paese dell’ex Unione Sovietica, quando nel 2013 l’allora presidente ucraino e filo russo Viktor Yanukovich rifiutò un accordo per una maggiore integrazione economica con l’Unione europea, generando violente proteste di piazza da parte della popolazione ucraina che portarono alla fuga dal paese del presidente Yanukovich nel 2014. Nello stesso anno, durante l’invasione della Crimea, è esplosa la crisi in Donbass, la regione orientale dell’Ucraina. Il Donbass diventa così l’arena di un conflitto che dura da otto anni, dove le due repubbliche autoproclamate indipendenti e filo russe, la repubblica di Donetsk e quella di Luhansk, sono in guerra.

Alla base della crescente tensione tra Russia e Ucraina c’è lo stallo del processo negoziale finalizzato a risolvere il conflitto nella regione orientale dell’Ucraina. Mosca ha sempre negato il suo sostegno militare ed economico alle autoproclamate repubbliche separatiste, ma Kiev, che ha dato il benvenuto nel 2019 al presidente Volodymyr Zelensky, non indietreggia dalla tesi di una coinvolgimento russo nel caos del Donbass.

Mosca punta i piedi sul rispetto rigoroso degli accordi di Minsk, siglati nel 2015 nell’ambito del “Formato Normandia” (Germania, Russia, Ucraina e Francia) che prevedono la concessione di uno status speciale alle regioni separatiste, le elezioni locale: uno strumento che garantirebbe, secondo il Cremlino, il ritorno del controllo di Kiev sul confine tra Ucraina e Russia.

L’acutizzarsi della crisi

Il presidente Zelensky, per recuperare consensi degli ucraini, ha volto il suo sguardo verso le potenze occidentali e verso la Nato. La strategia adottata dell’ex attore e attuale presidente ucraino punta a fare entrare Kiev nell’Alleanza nordatlantica. Una decisione che non piace a Mosca. Il Cremlino chiede una garanzia affinché l’Ucraina, ex repubblica sovietica, non aderisca mai alla Nato, così come altre concessioni da parte degli Stati Uniti in cambio di una diminuzione della tensione.

Richiesta inaccettabile per Washington e la Nato, che hanno respinto al mittente la domanda russa, chiedendo a Putin di ritirarsi dai confini dell’Ucraina. Secondo le immagini satellitari, Mosca, a partire dalla fine di ottobre avrebbe mobilitato circa 100.000 soldati equipaggiati con armamenti di vario tipo. Nonostante Mosca neghi di voler invadere l’Ucraina, la Casa Bianca ha avvertito il Cremlino sulla possibilità di dannose conseguenze militari ed economiche per Mosca in caso di attacco a Kiev.

A preoccupare le potenze occidentali sono le esercitazioni militari che la Russia sta organizzando nel Mediterraneo e nella vicina Bielorussia, paese che confina non solo con l’Ucraina ma anche con Polonia, Lituania e Lettonia. Questi ultimi, infatti, sono membri della Nato e la presenza di truppe russe ai confini dei paesi che rientrano sotto l’ombrello dell’Alleanza nordatlantica preoccupano le capitali del mondo democratico occidentale.

Nel rimbalzo di colpe e di responsabilità sull’aumento delle tensioni, gli Usa e la Nato cercano di farsi trovare preparati in quella che considerano un’imminente e probabile guerra: gli Stati Uniti hanno messo in allerta 8.500 soldati da schierare in Europa mentre la Nato ha rafforzato con navi da guerra e jet da combattimento la sua posizione in Europa orientale.

A nulla sono serviti i colloqui diplomatici tra gli attori interessati nelle scorse settimane. Washinton e Mosca sono inamovibili dalle loro posizioni: Vladimir Putin chiede alla Nato di ritirare le proprie truppe da Bulgaria, Romania e dagli altri stati ex comunisti dell’Europa orientale. A loro volta gli Stati Uniti chiedono il ritiro dei militari russi ammassati al confine orientale ucraino intensificando allo stesso tempo le consegne di armamenti all’Ucraina, per difendersi.

Tutto ruota attorno al gasdotto

Nel quadro della crisi ucraina, la Germania gioca un ruolo cruciale. Gli Usa fanno pressione su Berlino per bloccare il progetto del gasdotto Nord Stream 2, gestito dalla società russa di produzione di gas naturale Gazprom.
Sia la Russia sia la Germania sostengono il progetto che garantisce un canale diretto che fornisce all’Europa il gas. Ma a Berlino, soprattutto sullo sfondo del governo appena formato, ci sono divergenze sulla necessità di lanciare il Nord Stream 2. I Verdi, il partito che fa parte della coalizione governativa detta “semaforo”, rifiutano il progetto per ragioni geostrategiche e di politica climatica. E il cancelliere tedesco Olaf Scholz sembra per ora non voler scontentare il partito di base ecologista.

Scholz sventola la carta del Nord Stream 2 presentando a Vladimir Putin l’intenzione di una dura sanzione economica, in caso di invasione russa dell’Ucraina. Berlino finora non ha approvato l’invio di armi all’Ucraina: il cancelliere Scholz, infatti, propugna saggezza.

Il nodo olimpico 

Ad allontanare l’ipotesi di un conflitto armato in Ucraina sono le Olimpiadi invernali di Pechino 2022. Le Nazioni Unite hanno adottato una “Risoluzione sulla tregua olimpica“, che impone uno stop di conflitti armati per “sette giorni prima dell’inizio delle Olimpiadi fino a sette giorni dopo la fine delle Paralimpiadi”. Dunque: dal 28 gennaio al 20 marzo. L’auspicabile tregua olimpica finirebbe proprio all’alba della primavera, quando in Ucraina con la primavera arriverebbero disgelo, pioggia e fango. Le condizioni sul terreno ucraino ostacolerebbe una mossa delle forze russe.