Mentre Putin continua a negare di voler attaccare l’Ucraina, pur ammassando 100 mila soldati ai suoi confini, gli Stati Uniti si preparano ad affrontare le conseguenze economiche che un nuovo assalto militare del paese dopo l’invasione del 2014 potrebbe comportare. Nelle settimane scorse il presidente Joe Biden aveva avvertito che una nuova iniziativa russa sull’Ucraina scatenerebbe le sanzioni americane e una maggiore presenza degli Stati Uniti in Europa. Proprio venerdì il governo di Kiev ha denunciato un “enorme attacco informatico” di cui il paese è stato vittima: almeno 10 siti web del governo hanno cessato di funzionare, compresi quelli legati all’energia e agli affari esteri.

Così si spiegano i colloqui intrattenuti in questi giorni dal governo Usa con diverse compagnie energetiche internazionali. Tra queste: Royal Dutch Shell, ConocoPhillips, Exxon, Chevron Corp, Total, Equinor e Qatar Energy. Se, infatti, il conflitto tra Russia e Ucraina interrompesse le forniture russe diventerebbero necessari piani di emergenza per la fornitura di gas naturale all’Europa. Bisogna ricordare che l’Unione europea dipende dalla Russia per circa un terzo delle sue forniture di gas e le sanzioni statunitensi che scatterebbero in caso di conflitto potrebbero interrompere la fornitura. In questo momento caratterizzato dalla carenza di materie prime e dall’aumento dei costi dell’energia, l’eventuale interruzione della fornitura di gas della Russia all’Europa aggraverebbe ulteriormente la crisi energetica alla quale contribuisce la carenza di carburante. Secondo l’agenzia Reuters, tuttavia, le società contattate hanno spiegato ai funzionari del governo americano che le forniture globali di gas sono scarse e che c’è poco gas disponibile per sostituire i grandi volumi provenienti dalla Russia.

A complicare il quadro è arrivata, nei giorni scorsi, la dichiarazione di Fatih Birol, capo della Iea, l’agenzia internazionale per l’energia, che accusa la Russia di aver già ridotto la fornitura di gas naturale all’Europa. «Ci sono forti elementi di rigidità nei mercati del gas in Europa a causa del comportamento della Russia», ha detto Birol ai media. «I bassi flussi di gas russo di oggi verso l’Europa coincidono con l’intensificarsi delle tensioni geopolitiche sull’Ucraina», accusa il capo della Iea. «L’attuale deficit di stoccaggio nell’Unione europea è in gran parte dovuto a Gazprom», insiste Birol. «La società russa ha ridotto le esportazioni verso l’Europa del 25% su base annua nel quarto trimestre del 2021, nonostante i prezzi di mercato elevati e la riduzione delle vendite spot, mentre altri esportatori le hanno incrementate». Il capo della Iea ritiene pertanto che «le normative in Europa dovrebbero essere riviste con impegni di stoccaggio minimi obbligatori per tutti gli operatori commerciali al fine di garantire le esigenze degli utenti finali». Giovedì scorso Margrethe Vestager, commissaria europea alla concorrenza, ha dichiarato di valutare il comportamento di Gazprom come una “priorità” per l’Unione. «È davvero singolare che un’azienda limiti l’offerta proprio in vista dell’aumento della domanda», ha osservato Vestager, avvertendo che Bruxelles sarebbe pronta ad aprire un’indagine formale sul colosso statale del gas russo.

Le tensioni con la Russia si aggiungono ad altri fattori che negli ultimi mesi hanno spinto alle stelle i costi dell’energia in Europa. Per scongiurare le interruzioni di energia e per limitare il malcontento dei consumatori alle prese con l’aumento delle bollette energetiche, i governi europei sono intervenuti con diverse misure per mantenere le case calde, per far lavorare l’industria e per non scaricare tutto sui portafogli dei cittadini. Il 14 gennaio scorso la Francia si è dichiarata pronta a interventi radicali in caso di necessità: per esempio, costringere Edf (Electricite de France) a vendere più energia a un forte sconto, una mossa che potrebbe costare al gigante energetico statale 7,7 miliardi di euro. D’altra parte, con le centrali a carbone progressivamente chiuse, le scorte di gas – combustibile chiave nelle centrali elettriche europee – inferiori al normale e la crescente dipendenza del continente dalle energie rinnovabili, i prezzi dell’energia elettrica hanno raggiunto cifre da record. Il gas europeo ha superato i 180 euro al megawattora: all’inizio del 2021 era fermo a 20 euro.

In questi giorni, lo stallo nei colloqui tra Putin e Biden ha provocato un’altra impennata e tutti temono che le tensioni geopolitiche limiteranno le esportazioni di gas della Russia nel continente, proprio nel momento in cui le scorte si sono ridotte al livello più basso mai registrato in questo periodo dell’anno. La Russia ha negato ripetutamente di limitare le vendite, ma chiede che i clienti si impegnino in accordi più a lungo termine. Ha anche collegato l’aumento delle esportazioni all’approvazione del controverso gasdotto Nord Stream 2 verso la Germania. L’oleodotto, che attraversa il Mar Baltico, consentirebbe alla Russia di aggirare ampiamente l’Ucraina, cosa che gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa orientale temono possa indebolire Kiev. Anche all’interno del governo tedesco, i partiti della coalizione semaforo sono divisi sull’oleodotto. I Verdi lo criticano perché, a loro avviso, aumenterà enormemente la dipendenza dell’Europa dal gas naturale russo. I socialdemocratici invece lo sostengono. Il ministro degli Esteri verde Annalena Baerbock, che proprio ieri ha fatto il suo primo viaggio ufficiale come ministro degli Esteri a Kiev e sarà a Mosca oggi, ha spiegato che il Nord Stream 2 non potrebbe essere avallato in caso di invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

L’Spd, tradizionalmente favorevole all’intesa con Mosca, insiste sull’importanza del gas russo per l’industria tedesca e cerca di tenere distinto il dibattito su Nord Stream 2 dalla crisi Russia-Ucraina. Per esempio, la ministra della difesa Christine Lambrecht, socialdemocratica, ha dichiarato che l’oleodotto «non dovrebbe essere trascinato in questo conflitto». Kevin Kühnert, segretario generale dell’Spd, ha lanciato una frecciata ai Verdi, accusando l’uso deliberato delle controversie internazionali «al fine di seppellire progetti che sono sempre stati una spina nel fianco di alcune persone». Viceversa la Baerbock ha più volte ricordato l’accordo tra Stati Uniti e Germania del luglio 2021 che prevede sanzioni energetiche di Berlino a Mosca «nel caso in cui la Russia tentasse di usare l’energia come arma o commettesse ulteriori atti aggressivi contro l’Ucraina».

I Verdi e l’Spd sono d’accordo almeno su un punto: la necessità dei negoziati per evitare la guerra. Finora tuttavia la risposta russa è stata sprezzante. Come si colloca Olaf Scholz, cancelliere socialdemocratico, in questo groviglio? Nelle sue dichiarazioni pubbliche è stato estremamente cauto, sottolineando la necessità di una risoluzione pacifica del conflitto. Ma ha anche fatto spallucce rispetto alle pressioni americane quando l’amministrazione Biden gli ha chiesto di affermare esplicitamente che Nord Stream 2 – che è in attesa di approvazione da parte del regolatore tedesco e della Commissione europea – sarà fermato se la Russia invierà truppe in Ucraina. In pubblico, Scholz ha insistito ripetutamente sul fatto che l’oleodotto è una «iniziativa del settore privato». Una posizione nuova anche rispetto alla linea adottata da Angela Merkel, alla quale Scholz ha sempre detto di ispirarsi e che nel 2018 ha ammesso che Nord Stream 2 «non è solo un progetto economico» ma ha ricadute geopolitiche: tra queste la necessità di preservare lo status dell’Ucraina come paese di transito per il gas russo.

Ma non tutto il partito segue la cautela del cancelliere sul punto. Michael Roth, ex viceministro degli Esteri oggi presidente della commissione per gli affari esteri del Bundestag, ha dichiarato che, in caso di aggressione della Russia contro l’Ucraina, la Germania dovrebbe reagire contro Mosca rifiutando l’approvazione dell’oleodotto. Tuttavia, i fattori geopolitici sono soltanto una parte del problema. A complicare la grande partita del gas europeo si aggiungono ormai le politiche green di Bruxelles. Basti pensare all’enorme crescita delle energie rinnovabili, che però sono più intermittenti dei generatori di combustibili fossili o nucleari. In questo scenario a lungo termine, la Germania ha chiuso la maggior parte delle sue centrali nucleari. Ma così un’altra dura prova attende le reti europee, già alle prese con una delle peggiori crisi energetiche nella storia dell’Unione.

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